Le relazioni umane

    Come gli incontri della vita influiscono su aspettative e delusioni

    Ciao, ci stiamo avvicinando alle conclusioni di questo viaggio sul rapporto fra aspettative e delusioni. In questo post voglio parlarti di un ambito della vita che ti permette di avere delle grandi aspettative, ma allo stesso tempo può generare un po’ di delusioni! Le relazioni umane. Prima, però, riprendiamo brevemente quello che hai appreso fino ad ora:

    Riassunto dei post precedenti

    1) Induzioni deduzioni e teorie

    Hai imparato che ci facciamo delle idee sul mondo, anche “mettendo insieme i puntini”. “Uniamo” delle esperienze e così ci facciamo delle teorie sul mondo, si chiama apprendimento per induzione. Alcune teorie “preconfezionate” ci vengono dai nostri genitori, insegnati o amici e poi da lì creiamo delle deduzioni. Tutti e due questi modelli di apprendimento a volte funzionano e a volte no.

    Le metafore

    Inoltre, apprendiamo anche per metafore: quando qualcuno ci racconta delle storie o con delle frasi particolari che ci ricordano qualcos’altro, rispetto all’argomento del racconto o della frase. Le metafore ci permettono di spiegare più facilmente alcuni concetti. Ci permettono di dare un senso a delle esperienze, che delle volte la logica razionale non ci permetterebbe. Sono in grado a volte di farci intuire quello che le logiche di induzioni e deduzioni non ci permettono di capire.

    l'intuizione
    Le relazioni umane: l’intuizione

    2) I Bias

    Induzioni e deduzioni, per certi versi, sono parte di quel grande “calderone” che sono i Bias, i quali, sbagliando, ci permettono di dare senso a delle esperienze. Ma alla mente questo non interessa. L’importante per la mente è creare un senso. A volte questo ci può andar bene e a volte no. Quello che è importante è che tu sappia che non puoi esserne immune. Conoscerli e mettere alla prova le tue credenze, anche in questo caso, ti aiuta.

    Ricorda sempre che dovrai chiederti se stai perseverando o insistendo, spesso la differenza fra un successo e un fallimento e lì.

    3) Le emozioni

    Le nostre aspettative e delusioni, le nostre scelte e il modo in cui pianifichiamo le nostre decisioni dipendono dalle emozioni che proviamo. Riconoscere la ricchezza delle nostre emozioni e comprendere che spesso anch’esse sono il frutto di cosa crediamo, a volte ci può aiutare a vedere le stesse aspettative e delusioni da una diversa prospettiva.

    4) Il pensiero laterale e critico

    In ogni modo, è sempre utile sviluppare un pensiero laterale per rileggere la nostra storia in modo diverso. E quel pensiero critico, che ci permette di mettere in dubbio, o di mettere alla prova ciò che crediamo, allo scopo di comprendere se e quando ciò che crediamo “funziona”.

    5) Dare un senso alle esperienze

    I concetti di aspettativa, delusione e tanto altro hanno significato, tanto quanto li possiamo immaginare come un quadro che prende forma grazie ad una cornice. Quella cornice è il senso che diamo all’esperienza, nel suo insieme e alle singole parti.

    Dare un senso, spesso, significa darsi degli scopi, e se questi non si realizzano significa che abbiamo appreso come non realizzarli. Oppure abbiamo comunque appreso qualcosa.

    L’importanza dell’umorismo nelle relazioni umane

    A volte, è più opportuno comprendere che non c’è da apprendere da una certa esperienza, ma possiamo solo viverla e andare avanti trovando le risorse per andare oltre quell’esperienza. Per fare questo, una buona risorsa è il senso dell’umorismo. Ti permette di creare deduzioni, induzioni e metafore che ti possono far comprendere i Bias, ai quali sei o sei stato soggetto, mantenendo uno stato emotivo positivo.

    E se quel senso dell’umorismo non ti appartiene, in un certo momento, ti suggerisco di esercitarti e frequentare persone che ne possiedono. L’umorismo è piacevolmente contagioso.

    Le relazioni umane: l'umorismo
    Le relazioni umane: l’umorismo

    Le relazioni umane rispetto ad aspettative e delusioni

    Ritorniamo al nostro post e a quello che apprenderai oggi; parlavamo di qualcosa che ti fa creare tanto aspettative che delusioni. Qualche post fa, potrai ricordare che ti avevo suggerito di chiederti se alcune delle tue aspettative fossero poi proprio le tue o magari di qualcun altro. Alcune potrebbero essere in realtà della tua famiglia, o dei tuoi amici o figli o compagno/a e per alcune di esse è accettabile. Un figlio ha una certa immagine del genitore ed è normale che tu possa cercare di conformarti un po’ a quell’immagine. Immagine che, per altro, in parte hai creato tu stesso e in parte si era creato lui. Anche il tuo partner ha delle aspettative su di te… e viceversa. Lo stesso vale per i clienti, se ne hai nel tuo lavoro, per i tuoi colleghi e amici, ecc.

    La necessità di confidare le delusioni a qualcuno di vicino

    Ora, tutto questo genera anche, ovviamente, nel tempo delle delusioni. Sarai stato/a delusa da qualche tuo partner o parente o amico oppure collega. Spesso, quando questo è accaduto, cosa è successo poi? Che probabilmente hai parlato di quella delusione con qualcuno. Se una certa relazione è stata fonte di delusione, hai valutato che confidarti con qualcuno, quindi vivere quell’esperienza in un’altra relazione, ti permettesse di star meglio. Alcuni di noi sono più propensi a confidarsi con i propri amici o parenti, altri meno, ma un po’ tutti in qualche modo lo facciamo. Perché? Perché fa parte del nostro essere umani.

    In un vecchio album, scritto a quattro mani dal poeta Giuseppe Ungaretti, e dai cantautori Sergio Endrigo e Vinicius de Moraes, quest’ultimo cantava: la vita, amico, è l’arte dell’incontro. E l’incontro è con il prossimo, e sono tutti gli incontri della tua vita e quelli che dovrai e potrai ancora fare e vivere. E quegli incontri ti porteranno sorprese, speranze e disillusioni, soddisfazioni e gratificazioni.

    Tutto questo non è solo frutto delle mie considerazioni. Oramai è un dato consolidato nella letteratura scientifica, e in merito voglio raccontarti un paio di storie:

    La storia di Roseto

    Alcuni anni fa ascoltai ad un convegno una storia piuttosto curiosa, la storia di una cittadina della Pennsylvania negli USA dal nome italiano Roseto. Si tratta di una cittadina di poche migliaia di abitanti nella quale da alcuni studi epidemiologici fatti diversi anni fa risultava che vi fosse una bassissima incidenza di infarti del miocardio. La differenza era significativa solo per gli abitanti di quella cittadina, non per l’area. In sostanza gli abitanti dei paesi confinanti non avevano quell’incidenza.

    I medici cercarono di capire il motivo, la caratteristica principale è che, come per diverse cittadine degli USA, gli abitanti provenivano tutti dall’Italia. Ma, notarono anche che gli abitanti avevano abbandonato la classica dieta mediterranea che, come si sa, svolge una certa protezione dalle malattie cardiovascolari. Quindi, ipotizzarono un fattore genetico, ma non trovarono nessun marcatore che facesse supporre in una sorta di “scudo naturale”. Per altro, a proposito della dieta, pare che la maggior parte dei cittadini avesse le classiche abitudini alimentari, mediamente insane, tipiche dell’alimentazione USA.

    Conclusioni e spiegazioni del fenomeno

    Quindi? Quello che notarono fu che, essendo per la maggior parte imparentati fra di loro, una caratteristica peculiare fosse la qualità dei rapporti umani: conoscendosi tutti fra di loro, avevano una fitta rete di relazioni. Per avvalorare questa ipotesi si organizzò uno studio, durato decine di anni, che prese in considerazione tutti i cittadini di Roseto che per svariati motivi si fossero allontanati dalla città emigrando in altre aree degli USA. E questo confermò l’ipotesi.

    Coloro che si allontanavano, variando la qualità delle relazioni sociali, rientravano nella media degli studi epidemiologici sull’infarto del miocardio. Riassumendo: creare delle relazioni di qualità previene oggettivamente gli infarti.

    Le relazioni umane: le buone relazioni
    Le relazioni umane: le buone relazioni

    In pratica, i cittadini di Roseto che trasferendosi non mantenevano le relazioni sociali così strette che avevano nella cittadina d’origine erano più soggetti a morire di infarto.

    La solitudine dei giovani

    Spesso, mi trovo a parlare con persone per le quali il problema più grosso è la solitudine. Magari per motivi di età e sto scoprendo che, in un modo diverso, la solitudine sta diventando un problema anche dei ragazzi. Di chi si abitua a comunicare con i social e poi ha difficoltà a creare delle relazioni concrete.

    Il Grant Study dell’università di Harvard

    Un’altra storia interessante riguarda uno studio, ancora in corso, iniziato nel 1938. L’Harvard Study of Adult Development intraprese una ricerca il “Grant Study” su più di settecento persone per capire cosa rendesse le persone felici. Lo studio procede tutt’oggi con i pochi, rimasti in vita, ma includendo anche i discendenti.

    La ricerca è consistita nel far compilare ai partecipanti dei questionari. Sulla loro salute fisica e anche sulla qualità e il numero delle loro relazioni interpersonali, sulla loro vita coniugale, professionale, ecc. Da quelle domande gli scienziati hanno compreso un concetto molto semplice: chi ha delle buone relazioni e si impegna a mantenerle, vive meglio ed è più felice. Questo non significa, quindi, che quelle persone non avranno avuto delle delusioni, ma che creare delle buone relazioni, fare attenzione ai propri rapporti sociali, permette a quelle persone di sentirsi più felici e avere delle migliori condizioni di salute.

    Un altro dato interessante, che comparve da uno sviluppo di una parte di questo studio il “The Glueck Study”, fu che la felicità delle persone che parteciparono non era valutata in termini di successo professionale o di ricchezza economica accumulata nel corso della loro vita. Ciò che li rendeva maggiormente felici era la qualità delle relazioni che avevano creato nel tempo.

    ll segreto di María Branyas Morera

    Infine, mi accaduto di leggere tempo fa la dichiarazione di María Branyas Morera, per il Guinness dei primati, attualmente la donna più vecchia del mondo, spagnola ed ha centoquindici anni. Per lei, il segreto della sua longevità è dato dal vivere una vita tranquilla, a contatto con la natura e soprattutto dall’avere delle buone relazioni.

    Una crisi di solitudine globale

    Oggi, siamo nel pieno di una crisi di solitudine globale. Nei paesi sviluppati, negli ultimi quindici anni, il numero di persone che afferma di avere qualcuno su cui poter contare è diminuito costantemente. L’Italia, in particolare, si classifica tra i primi posti in Europa come tasso di solitudine secondo diversi studi. In uno ricerca condotta su 55.000 intervistati da tutto il mondo, 1 persona su 3 ha riferito di sentirsi spesso sola. Tra questi, il gruppo più solitario era quello dei giovani tra i 16 e i 24 anni. Il 40% dei quali ha riferito di sentirsi solo “spesso o molto spesso”.

    Antidoti alla solitudine nella mia esperienza di counseling

    Quando mi accade di parlare con persone che, per vari motivi, vivono l’esperienza della solitudine, chiedo spesso se hanno degli hobby che li porterebbero a creare nuove relazioni. Oppure chiedo se potrebbe interessargli svolgere un qualche tipo di volontariato che li porti a frequentare altre persone. o ancora se, salutando i vicini di casa, non possano scambiarsi due parole in più. Oppure, se amano gli animali e possono sostenerlo economicamente e fisicamente, chiedo di prendersi un cane per passeggiare e incontrare altre persone. Se sono religiose, chiedo di frequentare la propria parrocchia o se sanno cucinare, di invitare qualche amico o amica o vicino di casa. E se non sanno cucinare possono imparare a cucinare.

    Il gruppo di pari e il gruppo di dispari

    In sostanza, chiedo di svolgere qualunque azione che permetta loro di relazionarsi con più persone e questo con due criteri fondamentali, frequentare quelli che si definiscono “gruppo di pari” e “gruppo di dispari”.

    I primi sono persone che sostanzialmente la pensano come te su molti argomenti. Sono le tue “anime gemelle”, coloro che ti spingono a migliorarti e con le quali se parlerai di tanti argomenti li troverai d’accordo con te. Sono quelle con le quali puoi condividere dei progetti. Ad esempio, sono coloro con le quali faresti insieme un viaggio.
    I “gruppi di dispari” sono coloro che invece hanno molte opinioni divergenti dalle tue. C’è qualcosa in comune, ma sostanzialmente la pensate diversamente su tante cose. Sono quelle persone che ti fanno pensare: e se poi quello che credo non sia vero? Sono coloro che ti permettono di crescere mettendo in dubbio ciò che per te è vero.

    Le relazioni umane: la divergenza di opinione
    Le relazioni umane: la divergenza di opinione

    Spesso, la comprensione della differenza fra l’insistere e perseverare nasce proprio da cosa si sviluppa nella relazione fra i propri “gruppi di pari” e “gruppi di dispari”.

    Dai primi puoi imparare, generalmente, a migliorare, dai secondi impari a crescere. A volte, con molte delusioni, ma cresci e comprendi e ti interroghi su cosa vuoi veramente, su cosa hai ottenuto e cosa otterrai. Poi può darsi che accetterai le indicazioni degli altri oppure che la risposta scaturirà da te. Certamente è il confronto con chi fa parte di quei gruppi che ci permette di andare avanti.

    Ricorda sempre che siamo attratti da ciò che riteniamo simile a noi, ma apprendiamo dalle esperienze che riteniamo differenti dal nostro modo di pensare.

    Esercizio sulle relazioni umane

    Per concludere questo post ti propongo un esercizio molto semplice. Chiama almeno cinque amici e chiedi loro quali sono le tue qualità e quali sono i tuoi difetti. Ovviamente non chiamarli esplicitamente facendo questa richiesta, magari penserebbero che c’è qualcosa che non va, o che ti sia accaduto qualcosa. Chiamali e “inserisci” nel discorso questa domanda. Ovviamente, se sai che li incontrerai nei prossimi giorni non ha senso chiamarli. Poco importa se sono dei tuoi parenti o colleghi. L’importante è che siano delle persone con cui ritieni che ci siano delle affinità, degli amici appunto. Nota semplicemente cosa ti dicono. Personalmente, poi, piuttosto che “difetti”, preferisco la parola “area di miglioramento”. Ma in questa circostanza l’importante è che tu glielo chieda, e nota appunto cosa ti rispondono. E soprattutto, quando te lo dicono, ringrazia senza commentare

    Come le buone relazioni umane influiscono sulle aspettative

    Ora hai compreso come sia ormai comprovato che il modo in cui crei e mantieni relazioni di qualità ti permette di realizzare una vita migliore, e di conseguenza quelle relazioni di aiuteranno a creare le risorse per realizzare delle aspettative di qualità e ristrutturare o superare le delusioni.

    Considerazioni sul rapporto tra relazioni umane e future generazioni

    Ora voglio aggiungere ancora un piccolo pezzo. Ormai, a proposito delle relazioni interpersonali sappiamo che, non solo influiscono su di noi, sulla nostra condizione di salute, sulla nostra percezione di felicità e di conseguenza su aspettative e delusioni. Ma, quando parliamo di eventi fortemente stressanti, o di condizioni di benessere nel quale ci alleniamo con costanza, questo influisce anche sul nostro patrimonio genetico. E di conseguenza sulle generazioni future!

    Le relazioni e il DNA

    Ti spiegherò questo concetto in poche parole: credo tu sappia che il nostro DNA rappresenta il modo in cui riceviamo delle informazioni dai nostri genitori e le traferiamo ai nostri figli. Sai anche che ogni volta si “mescola” casualmente e questo determina, poi, il modo in cui alcune volte quel “mescolamento” ci permette” di relazionarci meglio con l’ambiente, altre volte no.

    Le relazioni umane:DNA
    Le relazioni umane: DNA

    Si è scoperto come l’ambiente influisce sul modo in cui quel patrimonio genetico si esprime. Il patrimonio genetico di un individuo quindi si esprime o meno in relazione a condizioni di stress o di benessere a cui è esposto. E quella espressione, verrà poi trasmessa per alcune generazioni successive.

    Se ci pensi, questo, allora, non riguarda solo il rapporto fra genitori e figli ma ognuno di noi. Perché, se nella tua vita hai dovuto gestire degli eventi stressanti determinati anche da altre persone, questo influisce sull’espressione del tuo DNA. Lo stesso stai facendo anche tu: quando contribuisci a creare quella condizione di stress verso il prossimo.

    Le relazioni non solo creano grandi aspettative e grandi delusioni, ma permettono di generare anche grandi speranze e favoriscono la nostra percezione della felicità, riverberandosi in quella trama dell’esistenza umana che è il vissuto delle prossime generazioni.

    La vita è l’arte dell’incontro 

    E’ importante il momento in cui nella vita incontriamo e ci relazioniamo profondamente nel bene o nel male con un’altra persona. E’ l’occasione in cui in un istante i nostri vissuti si intrecciano al presente, e di come entrambi decidiamo di reagire ai nostri rispettivi passati e di come proiettarci nei rispettivi futuri. Creando i presupposti per i comportamenti anche delle rispettive generazioni.

    In sostanza, il modo in cui mi comporterò con il mio prossimo influirà sulle sue future generazioni e viceversa.

    Ricordo le parole di un coach, Tad James, tanti anni fa che durante un corso ci disse a proposito della nostra rappresentazione del tempo (che possiamo immaginare come una linea) che ognuno di noi ha infiniti futuri probabili e che un punto di quella linea è il “collasso al tempo presente” degli infiniti futuri. Significa che dare forma agli infiniti futuri comporta deciderne uno solo, e ogni futuro ha la propria trama intrecciata con quella delle persone con le quali ci relazioniamo.

    L’etimologia della parola destino

    Questo mi ricorda l’etimologia della parola destino deriva dalla radice indoeuropea “sta” che si traduce nel greco “io sto”. Tutto questo mi fa pensare alla consapevolezza della nostra, della mia, e della tua posizione nel mondo e di quanto questo determina dei cambiamenti nel prossimo e nel tempo.

    Le relazioni umane: gli incontri
    Le relazioni umane: gli incontri

    Allora la vita è si l’arte dell’incontro, nel significato più profondo della parola arte, che significa “andare verso”, “creare”. E immagino che rappresenti il creare quella magia che accade quando le relazioni ci permettono di lenire le nostre delusioni e creare aspettative, che potranno poi germogliare e portarci verso una qualche consapevolezza. Immersi in quel flusso che è il tempo, in cui siamo avvolti tutti noi.

    Se in quello che hai letto ritrovi un tuo problema, se ti risuona familiare la situazione descritta, o se avverti che in qualche modo l’argomento trattato ti riguardi, puoi contattarmi chiamandomi al numero 366-3672758 , oppure puoi inviarmi una e-mail a francesco.panareo@gmail.com. Molti clienti prima di te hanno fatto lo stesso, valuta tu quella che è la scelta migliore per te.

    Decidere di risolvere i problemi di relazione interpersonale e di coppia e vivere una maggiore condizione di serenità, credo che sia importante per ognuno di noi. Non posso sapere se decidi di contattarmi, ma posso augurarmi che tu faccia del tuo meglio per realizzare la vita che desideri.

    Se desideri poi approfondire questo argomento, o altri, puoi ugualmente contattarmi, il tuo feedback è importante per me, e mi permette di scrivere degli articoli maggiormente orientati ai tuoi interessi.


    Dare un senso alle esperienze

    Dedurre il significato tra aspettative e delusioni

    Ciao, in questo articolo continuiamo a parlare del rapporto fra aspettative e delusioni. Quello che ti chiedo è se, qualche volta, ti sei posto, rispetto ad una certa delusione, la domanda: che senso aveva questa esperienza? Volendo tramutare una tua aspettativa in qualcosa di concreto, in un obiettivo da realizzare, ti sei mai chiesto: che senso aveva per te desiderare di realizzare quella aspettativa? In questo post cercheremo di approfondire il senso di queste esperienze.

    Come affermavano i latini: repetita juvant. Pertanto, come le altre volte, anche se abbiamo dedicato tutto il post precedente a ripetere e approfondire quello che hai appreso nei primi tre post sul rapporto fra aspettative e delusioni, anche qui, inizieremo con un riepilogo. Che questa volta sarà brevissimo.

    Riassunto degli articoli precedenti

    Post 1 – Le aspettative

    Dal primo post hai appreso il perché, quando ti accadono delle esperienze, le “connetti”, in qualche modo, fra di loro. E ti crei, così, una sorta di predizione futura su altre esperienze che riterrai analoghe. Possiamo chiamare questo processo di apprendimento, “induttivo”.

    Un senso alle esperienze: l'apprendimento induttivo
    Un senso alle esperienze: apprendimento

    Con il tempo, ognuno di noi si crea poi molteplici connessioni o teorie, che di volta in volta usiamo per comprendere il mondo, insieme ad altre che hai appreso, perché te le hanno insegnate (ad esempio nella tua famiglia). Applicare quelle teorie significa seguire un processo deduttivo.

    Hai appreso, inoltre, che, se vuoi spiegare qualcosa a qualcuno, puoi usare delle metafore o dei racconti. In quest’ultimo modo, le persone si riconoscono maggiormente e apprendono meglio ciò che tu gli comunichi.

    Infine, è opportuno che tu, ogni tanto, metta anche in discussione le tue idee. Ti aiuterà a crearti aspettative più verosimili e a generare meno delusioni.

    Post 2 – I Bias cognitivi

    Oltre all’impossibilità di saper sempre qual è la “cosa giusta da fare”, che certamente contribuisce a crearti delle delusioni, abbiamo i Bias. Sono dei veri e propri schemi di pensiero che tendono a dedurre (dalla tua percezione della realtà) alcune conclusioni che non hanno alcun riscontro oggettivo.

    Conoscere quei Bias, certamente, ti può aiutare ad abituarti a comprendere che ognuno di noi è portato a fare delle considerazioni senza nessun riscontro concreto. Ma il peggiore errore che puoi commettere, è credere di esserne “immune”. Se sarai consapevole di questi processi, potrai crearti aspettative più accettabili e obiettivi più concreti, per ottenere meno delusioni.

    Ricorda, poi, la differenza fra perseverare e insistere: a volte, ciò che credi è frutto di congetture senza un riscontro concreto, a volte no. E questo non dipende solo dalla fattibilità delle tue aspettative, ma anche dal caso.

    Post 3 – Emozioni e sentimenti

    Hai compreso, inoltre, come ogni aspettativa è, in qualche modo, influenzata dallo stato emotivo in cui generi quell’aspettativa, e che ogni delusione ha poi molteplici sfaccettature emotive. Il comportamento più opportuno, che puoi adottare per gestire tutto questo, è pianificare efficacemente le tue aspettative, e apprendere a dare un nome alle tue emozioni. Ricordandoti sempre che ciò che provi dipende anche dal senso che tu dai a quell’esperienza. Per questo motivo è importante cercare più “sensi”. Significa crearsi una idea più complessa del mondo, che aiuta a “prevenire” le delusioni.

    Post 4 – Il pensiero laterale

    Dal quarto post, che è un approfondimento dei precedenti, hai compreso come ogni esperienza può essere valutata da più punti di vista, generando aspettative e delusioni differenti. Prenderne consapevolezza ti permetterà di comprendere come, quelle sfumature di ragioni differenti, a volte, contribuiscono proprio a generare il senso più profondo di una esperienza. In questo modo comprenderai meglio le tue ragioni, e anche quelle degli altri. Questo non significa venir meno alle tue, quanto, piuttosto, raggiungere un punto di vista più ampio.

    Un senso alle esperienze: il pensiero laterale
    Un senso alle esperienze: il pensiero laterale

    Dedurre è un modo per attribuire un senso ad un’esperienza

    Arriviamo ora all’argomento di questo post. Se ci pensi, dedurre qualcosa è un modo per attribuire un senso ad un’esperienza. Ricordi l’esempio della porta che hai letto nel primo post? Beh, quando impari come si aprono le porte in modo nuovo, hai aggiunto un nuovo senso alla tua esperienza di “relazione con le porte”. 

    Uso delle metafore per dare senso alle esperienze

    Con un esempio più concreto, tutte le metafore ti permettono di creare un senso profondo. Una relazione di coppia che “va in pezzi”, un rapporto di lavoro che è “ballerino”, un problema “grande come una montagna”. Sono tutti modi, attraverso delle metafore, per dare senso a delle esperienze

    I Bias creano un senso alle esperienze

    Anche i Bias ti permettono di creare un senso a delle esperienze. Un senso che ti permette “di raccontartela” ma è comunque un senso. Anzi, possiamo dire che proprio i Bias sono delle modalità per renderci accettabili delle esperienze, alle quali diversamente non vorremmo credere.

    Il modo in cui viviamo, e diamo un nome alle nostre emozioni, è un modo per generare senso. Se ci pensi, se avverti qualcosa e non sai dargli un nome, che senso ha quell’esperienza? Ecco perché è importante avere tanti nomi e capire che una emozione è un nome che va vissuto.

    Ogni aspettativa, in sostanza, ha un senso. E se la tramuterai in un obiettivo, quindi, in qualcosa di specifico che desideri ardentemente realizzare, ti suggerisco sempre di chiederti: che senso ha tutto questo? Per, in qualche modo, “metterla alla prova”.

    Chieditelo più volte, probabilmente scoprirai che obiettivi complessi nel corso della loro realizzazione avranno più attribuzioni di senso, magari diverse fra di loro nel corso del tempo. In sostanza, non credere che quello che credi sia vero, a prescindere, come hai appreso con l’esercizio del primo post.

    La teoria di Frankl

    Uno psicoterapeuta che ha lavorato su questo concetto è stato Viktor Frankl. Da giovane ebreo, fu imprigionato insieme alla moglie e ai genitori in un campo di concentramento, e notò un fenomeno. Alcuni prigionieri, internati come lui, senza avere dei problemi fisiologici specifici, morivano. Certamente la condizione in cui vivevano nel campo era la causa scatenante, ovviamente, ma altri riuscivano a sopravvivere a quelle condizioni di stenti.

    Giunse alla conclusione, avendo ascoltato coloro che poi non ce la facevano, e ascoltando coloro che riuscivano, in qualche modo, ad andare avanti, che ciò che faceva la differenza era uno scopo, che i primi non avevano e i secondi sì.

    Nel suo caso, lo scopo era narrare ciò che stava accadendo in quel luogo, e da lì nacque uno dei suoi libri. Infatti, pare che lo scrivesse di nascosto e nascondesse il manoscritto nella fodera del suo cappotto. Un giorno, poi, i nazisti lo scoprirono e glielo distrussero. Ma lui ricominciò a scrivere di nuovo, e quando usci dal campo poté successivamente pubblicarlo. Da quel campo usci solo lui, i genitori, un fratello e la moglie morirono lì.

    Le aspettative generano delusioni e soddisfazioni

    Ora, non credo che ogni esperienza sia qualcosa da cui abbiamo da imparare, ma molte volte sì. E non credo neanche che ognuna ci permetta di ottenere un certo scopo. Ma credo che avere molti scopi, svariate aspettative e degli obiettivi, sia il modo migliore, paradossalmente, per generare tante delusioni. E credo che, se di scopi ne hai tanti, sicuramente, sia il modo migliore per generare anche tante soddisfazioni.

    Quando dare senso alle esperienze è un problema

    Tornando a noi, a volte mi è accaduto di ascoltare persone che mi dicevano: che senso ha vivere per me? Dopo che mi avevano raccontato di situazioni terribili che avevano dovuto affrontare. Non mi hanno chiesto la soluzione ai loro problemi, o la realizzazione delle loro aspettative, ma il senso di ciò che stavano vivendo. Sentivo nel loro tono di voce l’angoscia e la paura di non saper trovare dei motivi per spiegarsi tutto ciò, prima ancora di cercare una via d’uscita.

    Di fronte a ogni delusione, uno dei più grossi problemi che puoi avere, è dare un senso a ciò che è accaduto, e credo che questo succeda a ognuno di noi. Certamente, è capitato a me.

    Quello che credo è che non sempre trovi un senso. A volte, ha più senso credere che, semplicemente, quello che è accaduto è accaduto ed è il momento di guardare avanti.

    I segnali premonitori

    A volte, magari, in una certa relazione hai messo la testa sotto la sabbia, e, mentre lo facevi, una parte di te ne era consapevole. Quando le cose sono andate male, hai fatto fatica ad accettarlo, ma di fatto lo sapevi già. E non te ne sei accorto, ti sarà di insegnamento non aver percepito quei “segnali”, che hai interpretato solo successivamente.

    Un senso alle esperienze: le delusioni d'amore
    Un senso alle esperienze: le delusioni d’amore

    Il pensiero positivo e la legge dell’attrazione

    Qui mi voglio soffermare su di un concetto. Generalmente, nei corsi di comunicazione, o nei corsi in cui si parla di pensiero positivo, o della “legge dell’attrazione” (se vuoi sapere cos’è puoi cercarlo in rete), rispetto alle delusioni o fallimenti si dice spesso che “o si vince o si impara”, oppure che “non esistono fallimenti ma solo feedback” (che è un termine inglese non traducibile in italiano), o che “se pensiamo intensamente che qualcosa si avvererà questo poi si avvererà realmente”.

    Credo che spesso siano dei buoni concetti da apprendere, e a volte siano solo dei discorsi per imbonire il pubblico di chi partecipa a suddetti corsi.

    Diverse esperienze con diversi significati

    Se ora esco e prendo una distorsione perché sono ubriaco, ha un senso (mi è accaduto diversi anni fa ormai e quando qualcuno me lo ricorda penso di aver appreso che, se bevo qualche bicchiere di troppo, saltare e correre come un forsennato a ritmo di musica non è una buona idea!) 

    Se esco di casa e attraverso la strada con attenzione, ma ad un certo punto spunta una persona distratta che guida l’auto, magari superando i limiti di velocità con l’auto, e mi investe, non ho nulla da imparare. Posso solo, se sarò vivo dopo, e dopo le cure e la riabilitazione, continuare a vivere. E nel frattempo avrò “perso” dei progetti, del denaro e tanto altro. Avrò appreso come si sviluppa una riabilitazione, ma ne avrei fatto volentieri a meno. E avrò passato, nel frattempo, momenti di rabbia, frustrazione, disperazione, angoscia, tristezza, noia e tanto altro. Quello che conterà per me sarà solo saper superare tutti quei momenti.

    Creare a posteriori un senso alle esperienze

    A volte, mi capitano dei colloqui con delle persone che cercano un senso alle loro esperienze, e generalmente li aiuto a creare quella cornice di senso. Ovviamente, a volte, quello che facciamo insieme non è dare senso, ma individuare le risorse per superare l’esperienza, e poi creare quel sentimento di speranza, con il quale progettare dei nuovi scopi nella propria esistenza.

    Cercare il lato comico alle esperienze

    Se ne sei capace, e se non lo sei esercitati, impara ad attribuire un senso alle esperienze. Un buon … senso è quello dell’umorismo, ne ho parlato in un post. Pratico tutto questo nelle mie sessioni di counseling, quando lo ritengo opportuno, e lo suggerisco sempre.

    Come lessi una volta, non ricordo francamente dove: se la vita ha un senso deve essere quello dell’umorismo. Può non essere sempre così, ma preferisco crederci molto spesso.

    A volte, cerco di trovare il lato comico anche nelle situazioni più drammatiche. So che questo aiuta a modificare la neurochimica di quel momento e l’emozione che quella persona sta vivendo. Questo aiuta, profondamente, a creare, successivamente, nuovi scopi.

    Un senso alle esperienze: trovare il lato comico
    Un senso alle esperienze: trovare il lato comico

    Quello che puoi apprendere ora, è che le delusioni non sono solo delle mancate aspettative, non sono solo delle occasioni per apprendere, e sono anche semplicemente delle delusioni che dovrai vivere con tutte le azioni che comportano. Credere che sia possibile eluderle, è una follia.

    Il senso del post

    Qual è allora il senso di questo post? Per me, è indurti a riflettere che non puoi non provare ad attribuire un senso alle tue aspettative e alle tue delusioni. A volte ne troverai di soddisfacenti, meglio ancora se più di uno contemporaneamente, e a volte no. E nelle “volte no”, allora, potrai solo andare avanti e sarà più utile che ti focalizzi sulle tue risorse per superare tutto quello che ti è accaduto, e ti concentri su ciò che desideri realizzare.

    La storia di Don Juan e dei due gatti

    Per concludere, invece di proporti un esercizio, ti proporrò un racconto, tratto da un libro dell’antropologo Carlos Castaneda. Se non lo conosci, è stato un antropologo e uno scrittore. Lui, che è stato anche un personaggio un po’ misterioso, non amava farsi fotografare, e ha rilasciato pochissime interviste. Ha sostenuto di aver conosciuto, negli anni Sessanta, uno sciamano, durante una sua ricerca che l’ha poi iniziato allo sciamanesimo. Nei suoi libri racconta di episodi al limite dell’assurdo e di poteri e capacità che non sembrano umani. Per quanto mi riguarda, non mi sono mai chiesto se quello che ha scritto fosse vero o no. Semplicemente, ho trovato i suoi libri piacevoli e ricchi di spunti di riflessione:

    La storia dei due gatti

    “Ricordate la storia che una volta mi avete raccontato, della vostra amica e dei suoi gatti?” chiese come per caso Don Juan.

    Guardò il cielo e si appoggiò allo schienale della panchina, allungando le gambe. Si mise le mani dietro la testa e stirò i muscoli di tutto il corpo. Come succedeva sempre, le sue ossa scricchiolarono rumorosamente.

    Un gatto nero e un gatto rosso

    Si riferiva alla storia che gli avevo raccontato un giorno: di una mia amica che aveva trovato due gattini mezzi morti nell’essiccatore di una lavanderia. Li aveva curati, e tra l’ottimo cibo e tutte le sue attenzioni erano diventati due enormi gatti, uno nero e uno rossiccio.

    Due anni dopo la mia amica vendette la casa. Non potendo condurre i gatti con sé e non essendo riuscita a trovargli altri padroni, si trovò costretta a portarli da un veterinario per farli uccidere.

    L’aiutai a prenderli. I gatti non erano mai stati in automobile: lei cercava di calmarli. La graffiarono e la morsero, specialmente il gatto rossiccio che si chiamava Max. Quando finalmente arrivammo dal veterinario, la mia amica prese per primo il gatto nero; tenendolo in braccio, e senza dire una parola, uscì dall’automobile. Il gatto giocava con lei: la toccò delicatamente con la zampa, quando lei aprì la porta a vetri dell’ambulatorio.

    Max

    Guardai Max; era accovacciato sul sedile posteriore. Il movimento della mia testa dovette spaventarlo, perché andò a cacciarsi sotto il sedile del guidatore. Inclinai il sedile all’indietro. Non volevo prendermi un graffio o un morso infilando la mano là sotto. Il gatto era accucciato dentro una cavità sul fondo dell’automobile. Sembrava agitatissimo, col respiro affrettato. Mi guardava; i nostri occhi s’incontrarono e si impadronì di me una sensazione opprimente. Qualcosa afferrò il mio corpo: una forma di apprensione, di disperazione, o forse d’imbarazzo per dover svolgere quella parte.

    Sentii il bisogno di spiegare a Max che la decisione era della mia amica, e io stavo soltanto aiutandola. Il gatto continuò a fissarmi come se capisse le mie parole.

    Max
    Un senso alle esperienze
    Max scappa

    Guardai se la mia amica stava arrivando. La vidi attraverso la porta a vetri. Parlava con l’uomo dell’accettazione. Provai una strana scossa e automaticamente aprii lo sportello.

    “Corri, Max, corri!” dissi al gatto.

    L’animale saltò fuori dall’automobile, si lanciò attraverso la strada con il corpo raso terra, come un vero felino. Il lato opposto della strada era vuoto; non c’erano automobili parcheggiate, e potei vedere Max che correva giù per la via, lungo il rigagnolo. Raggiunse l’angolo di un grande viale, poi attraverso un tombino aperto si infilò nelle fogne.

    La mia amica tornò. Le dissi che Max era scappato. Lei entrò in macchina e partimmo senza dire una parola.

    Epilogo

    Nei mesi che seguirono, quell’incidente divenne per me un simbolo. Mi immaginavo o forse avevo visto davvero un guizzo fatidico negli occhi di Max quando mi aveva guardato prima di saltare fuori dall’automobile. E credevo che per un attimo quell’animale vezzeggiato, castrato, troppo grasso, inutile, fosse divenuto un vero gatto.

    Dissi a Don Juan d’essere convinto che quando Max era corso attraverso la strada e si era infilato nelle fogne, il suo “spirito gattesco” fosse senza macchia, e che forse mai nella sua vita la sua “gattità” fosse stata così evidente. L’impressione lasciata da quell’episodio era per me indimenticabile.

    Raccontai la storia a tutti i miei amici; dopo averla narrata e rinarrata, la mia identificazione con il gatto divenne quasi divertente.

    Pensavo di essere io stesso come Max, troppo compiaciuto, addomesticato in mille modi, e non potevo far a meno di credere che ci fosse sempre la possibilità di un momento in cui lo spirito dell’uomo si sarebbe impadronito di tutto il mio essere, così come la “gattità” s’era impadronita del corpo tronfio e inutile di Max.

    A Don Juan era piaciuta la storia: aveva anche fatto qualche commento casuale. Aveva detto che non era troppo difficile far affluire e agire lo spirito dell’uomo; sopportarlo, però, era cosa possibile solo a un iniziato.

    Un senso alla storia

    “Cosa c’entra la storia dei gatti?” chiesi.

    “Mi avevate detto che credevate di poter cogliere anche voi la vostra occasione, come Max” rispose Don Juan.

    “Lo credo, appunto”.

    “Quanto ho cercato di dirvi è che voi, se ricercate l’assoluto, non potete veramente crederlo e lasciare che le cose vadano avanti, così come sono. A proposito di Max, dover credere significa che accettate il fatto che la sua fuga possa essere stata un’iniziativa inutile. Può essere precipitato nelle fogne e morto sull’istante. Può essere annegato o morto di fame; può essere stato divorato dai topi. Un iniziato considera tutte queste possibilità e poi sceglie di credere a seconda delle sue più intime predilezioni. Voi dovete credere che Max non solo è scappato, ma ha sopportato il suo potere. Voi dovete crederlo. Se non lo credete, non possedete nulla.”

    Le considerazioni di Don Juan

    La distinzione tra credere e dover credere divenne chiarissima. Pensai che veramente avessi scelto di credere che Max fosse sopravvissuto, pur sapendo che era handicappato da una vita facile e viziata.

    “Credere è una cosa facile” aggiunse Don Juan. “Dover credere è un po’ diverso. In questo caso, per esempio, il potere dello spirito vi ha dato una magnifica lezione, ma avete scelto di usarne solo una parte. Però, se dovete credere, bisogna che usiate tutto quell’episodio.”

    “Capisco cosa volete dire” risposi.

    La mia mente si trovava in uno stato di chiarezza e pensavo di afferrare i suoi concetti senza il minimo sforzo.

    L’altro gatto

    “Temo che continuate a non capire” disse don Juan, quasi in un sussurro.

    Mi fissò. Ressi il suo sguardo per un momento.

    “E l’altro gatto?” chiese.

    “Eh? L’altro gatto?” ripetei involontariamente.

    Me n’ero dimenticato. Il mio simbolo ruotava intorno a Max. Per me l’altro gatto non aveva importanza.

    Conclusioni finali sulla storia

    “Però c’è!” esclamò Don Juan, come se io avessi espresso quel pensiero. “Dover credere vuol dire che dovete considerare anche l’altro gatto. Quello che giocava e leccava le mani che lo portavano a morire. Quello era il gatto che andò alla sua morte fiducioso, soddisfatto del suo modo di giudicare, da gatto. Voi pensate di essere come Max, quindi avete dimenticato l’altro gatto. Non ne sapete neppure il nome. Dover credere vuol dire che dovete considerare ogni cosa, e prima di decidere che siete come Max dovete considerare che potete essere come l’altro gatto; invece, che correre per salvarsi la vita e cogliere anche voi la vostra occasione, può darsi che andiate tutto felice alla morte, soddisfatto del vostro modo di giudicare”.

    C’era un’inquietante tristezza nelle sue parole, o forse la tristezza era la mia. Tacemmo a lungo. Non mi aveva mai attraversato la mente l’idea che io potessi essere come l’altro gatto. Era un pensiero estremamente angoscioso.

    Da Carlos Castaneda – L’Isola del Tonal

    Un senso alle esperienze
    Un senso alle esperienze

    Cosa ne pensi di questo racconto? Avevi delle aspettative mentre lo leggevi? Sei stato sorpreso o deluso da come è terminata la storia? Se vuoi parlarmene contattami pure.

    Se in quello che hai letto ritrovi un tuo problema, se ti risuona familiare la situazione descritta, o se avverti che in qualche modo l’argomento trattato ti riguardi, puoi contattarmi chiamandomi al numero 366-3672758 , oppure puoi inviarmi una e-mail a francesco.panareo@gmail.com. Molti clienti prima di te hanno fatto lo stesso, valuta tu quella che è la scelta migliore per te.

    Decidere di risolvere i problemi di relazione interpersonale e di coppia e vivere una maggiore condizione di serenità, credo che sia importante per ognuno di noi. Non posso sapere se decidi di contattarmi, ma posso augurarmi che tu faccia del tuo meglio per realizzare la vita che desideri.

    Se desideri poi approfondire questo argomento, o altri, puoi ugualmente contattarmi, il tuo feedback è importante per me, e mi permette di scrivere degli articoli maggiormente orientati ai tuoi interessi.

    Il pensiero laterale

    Rivedere le proprie aspettative per ridurre le delusioni

    Ciao, quante volte ti è accaduto di essere deluso/a da una persona e di soffrire per questo? Le piccole delusioni passano in fretta: credevi di aver trovato un parcheggio e poi comprendi che la tua auto non entra in quel parcheggio! Ma se ti aspettavi che una persona a te cara si ricordasse del tuo compleanno e poi non ti ha chiamato, può essere qualcosa che ti ricorderai per anni! Oppure, un collega, o un amico, a cui tu sei stato/a vicino nei suoi momenti di difficoltà, che non ha fatto lo stesso, quando in difficoltà ti sei trovato/a tu, come invece ti saresti immaginato! Vedremo come, con il ragionamento e il pensiero laterale, sia possibile ridurre le delusioni.

    In questo post approfondiremo la relazione fra aspettative e delusioni e ci occuperemo soprattutto di ripassare a ampliare tutto quello che hai appreso nei post precedenti. Questo ti servirà per apprendere nuovi concetti che ti saranno utili in seguito. Uno di questi concetti è il pensiero laterale.

    Ripasso dei post precedenti

    Incominciamo da quanto hai imparato nel primo post, vediamo un po’ di fare un bel ripasso e vedrai come da ogni step potrai apprendere ancora dell’altro.

    Post 1 – Le aspettative

    Il processo induttivo

    Nel primo post hai imparato che uno dei modi in cui apprendiamo è attraverso dei processi induttivi: ci accadono degli esempi e mettiamo insieme i pezzi. Creiamo una teoria a partire da quelle esperienze. Quelle teorie a volte si rivelano efficaci e a volte no.

    La teoria X e il processo deduttivo

    Cosa accade a questo punto? Abbiamo creato una teoria partendo da alcuni fatti, abbiamo “messo insieme” delle esperienze e gli abbiamo attribuito un senso, che chiameremo “Teoria X”.

    Definendola come tale la potremo usare per, in qualche modo, predire il futuro. Significa che ora hai una tua teoria sul mondo o idea del mondo e la applichi quando credi che certe esperienze del mondo si possano adattare a quella teoria. Questa seconda parte si chiama processo deduttivo.

    Esempio pratico di pensiero laterale: le porte

    Ricordi l’esempio della porta? Quando ti sei fatto una tua “teoria della porte” applichi quella teoria a tutte le porte valutando se si aprono verso l’interno o verso l’esterno. Quando trovi una porta scorrevole la tua teoria non funziona più bene. La tua aspettativa di aprirla si tramuterà in una delusione e comprenderai che la tua teoria deve essere migliorata se vuoi scoprire come puoi aprire quel nuovo tipo di porta.

    Il pensiero laterale
    Le Il pensiero laterale: la teoria delle porte:

    Poi scopri che le porte scorrevoli si aprono in un modo diverso, scopri che quel modo funziona per tutte le porti scorrevoli (processo induttivo) e quando troverà una porta senza cardini saprai come aprirla (processo deduttivo) e sarai nuovamente soddisfatto.

    Esempio pratico: il cambio di professione

    Fin tanto che si tratta di porte sembra tutto un po’ finto vero? Poniamo che tu, attualmente, svolgi una certa professione, ma desideri svolgerne un’altra. Hai fatto diversi tentativi per sviluppare quella professionalità, per cui magari hai anche studiato anni e quei tentativi non sono andati a buon fine. Sei stato indotto a pensare che “quel lavoro non fa per te”, e che “è meglio continuare sulla propria strada” (il lavoro di ripiego che comunque ti genera un reddito sicuro quindi perché rischiare?).

    Può essere un buon modo di pensare: da una serie di esperienze sei indotto a credere che è preferibile ricavare un reddito dalla tua attuale professione e ne deduci che rischiare è pericoloso o inconcludente o non fa per te. 

    Cosa accade se poi non hai più il tuo lavoro per mille motivi? Con quale atteggiamento ne cerchi un altro se per te è un rischio fare qualcosa di nuovo? Soprattutto, come fai a sapere cosa desideri realmente?

    Le metafore e il pensiero abduttivo

    Ampliamo un po’ questo concetto del pensiero induttivo e deduttivo ritornando all’esempio delle porte. Se devi spiegare a qualcuno questa fantastica scoperta del come si aprono le porte scorrevoli, cosa puoi fare? Puoi ad esempio raccontare che le porte scorrevoli “si aprono come se scomparissero nel muro”, chiaramente la porta non scompare, ma sappiamo che scorrendo lungo un binario, si alloggia nel vano creato nella parete, ecc. ecc..

    Il pensiero laterale: le porte scorrevoli
    Le Il pensiero laterale: le porte scorrevoli:

    Le metafore e le analogie

    La frase “scompare nel muro” rimane più impressa nella mente della spiegazione tecnica. Questo accade perché è una metafora, se vuoi far comprendere un concetto a qualcuno ti suggerisco di usare le metafore. Significa usare un altro tipo di apprendimento “per analogie” e la nostra mente è molto sensibile a questo tipo di apprendimento.

    Se so che sei appassionato di motori e mi racconti di un tuo problema relazionale, preferisco usare esempi come “qual è la marcia che devi ingranare ora?” o “sei troppo su di giri in questo momento”, o ancora “questa faccenda è come un motore che gira a vuoto”. Perché so che le tue aspettative di avere un quadro più chiaro della situazione saranno soddisfatte. A proposito anche “avere un quadro più chiaro”, ovviamente, è una metafora.

    Questo modo di apprendere, per metafore o per racconti fa parte di quello che si chiama processo abduttivo ed è particolarmente efficace per far comprendere dei concetti. Hai notato come spesso io inserisco dei racconti nei miei post?

    Lo scopo del ragionamento e del pensiero laterale

    I processi induttivi, deduttivi e abduttivi non ti permettono sempre di predire con successo cosa ti accadrà o di comprendere tutti i tuoi problemi o di comunicare sempre efficacemente, quindi non ti impediranno di generare delusioni o crearti buone aspettative, ma ti permetteranno di rileggere la tua storia in modo diverso. E allora, l’esempio all’inizio del post diventa: lascia andare il ricordo di chi non ha dato valore allo scorrere del tuo tempo e incomincia a guardare il futuro davanti a te. Se non è abbastanza metti in discussione i presupposti. Se, ad esempio, qualcuno non ha ricambiato la tua disponibilità, chiediti: ma poi è vero che tutti dobbiamo ricambiare? O piuttosto posso donare la mia disponibilità anche senza aspettarmi nulla in cambio?

    Il pensiero critico

    Per questo motivo è importante mettere sempre in discussione quello che apprendi, e mettere in discussione la modalità con cui comunichi, se non è stata efficace in una certa circostanza. Questo è soprattutto un atteggiamento che si definisce “pensiero critico”, significa mettere in discussione ciò che si crede vero. In questo modo puoi “prevenire” molte delusioni, o tramutarle in occasioni di apprendimento.

    Post 2 – i Bias cognitivi

    Nel secondo post hai appreso come alcune “scorciatoie di pensiero” non sono affatto efficaci, le chiamiamo Bias di pensiero, abbiamo detto che ce ne sono dozzine e ne abbiamo vista una in particolare, il Bias di conferma. Bias, per il quale in sostanza, se non ti piace una certa realtà, “te la racconti” in modo tale da giustificare il tuo pensiero. 

    Il pensiero laterale: evitare i Bias
    Il pensiero laterale: evitare i Bias

    Ora ci sono decine di articoli sul web su questo argomento e diversi libri che lo trattano in modo esaustivo. 

    Quello su cui desidero che tu ti focalizzi ora è qualcosa di leggermente diverso rispetto al Bias in sé. Hai appreso che è una sorta di “bug” della mente da cui nessun essere umano è immune. Se credi di esserlo significa che sei proprio messo male

    Verificare e mettere alla prova le proprie convinzioni

    Quello che tu generi e che si definisce Bias è, in sostanza, una convinzione, qualcosa che tu credi vero. Ti ho invitato a riflettere su come certamente c’è qualcosa che ora credi vero e che di fatto non lo è e non puoi ancora saperlo. D’altronde, se non ti sei posto il problema o non hai degli strumenti, come fai a saperlo? Di seguito troverai una serie di affermazioni dette da persone che “la sapevano lunga” e che si sono rivelate delle balle colossali

    Qual è lo scopo? Spesso i corsi di crescita personale sono frequentati da persone che cercano certezze (di altri). Ti invito invece ad abituarti a crearti dei, sani, dubbi

    Applichiamo il pensiero laterale ponendoci alcune domande

    Le domande che vorrei di facessi al termine della lettura di queste affermazioni è: ma poi quelle famose mie aspettative erano proprio mie o magari della mia famiglia? E quelle delusioni, erano proprio delle mie delusioni, o quello che ho provato è la delusione di deludere qualcun altro? O magari si è trattato di una gran sfortuna e basta? Piuttosto, cosa mi ha portato a generare quell’aspettativa? Vale la pena deludersi per quello che è accaduto?

    Hai appreso come un buon modo per prevenire le delusioni consiste nel non credere che quello che credi sia vero. Bada bene, tutto questo non significa alimentare le proprie insicurezze. Significa, al contrario, verificarle e consolidare le tue credenze. Significa metterle alla prova.

    Convinzioni del passato che si sono rivelate false

    Se nel corso della storia dell’umanità non avessimo messo alla prova il nostro pensiero non esisterebbero gli aerei, la TV, i PC

    Ti faccio degli esempi:

    Le prime convinzioni sull’avvento computer
    • “Che bisogno ha una persona di tenersi un computer in casa?” (Kenneth Olsen, fondatore della Digital, 1977);
    • “In futuro un computer potrà forse pesare non meno di 1,5 tonnellate” (Usa Popular Mehanics, 1949);
    • “Il microchip: ma a che serve?” (un ingegnere della IBM, 1968):
    • “Penso che nel mondo ci sia mercato forse per 4 o 5 computer” (Thomas Watson, Presidente della IBM, 1943;
    Le convinzioni errate sulle arti
    • “La fotografia durerà poco, per l’evidente superiorità della pittura” (Le Journal des savantes, 1829);
    • Cartoni animati con un topo? Che idea orribile: terrorizzerà tutte le donne incinte” (Louis Mayer, capo della MGM rifiutando il personaggio di Topolino creato da Walt Disney, 1928);
    Le convinzioni errate alla nascita della televisione
    • “La famiglia americana media non ha tempo per guardare la televisione” (New York Times 1939);
    • “La televisione è tecnicamente possibile. Ma commercialmente è una perdita di tempo” (Lee DeForest pioniere della radio 1926);
    Convinzioni infondate su oggetti che oggi sono di uso comune
    • L’auto rimarrà sempre un lusso per pochi” (The Literary Digest 1899);
    • Scavare sottoterra per cercare petrolio? Siete pazzi?” (Gli esperti della compagnia mineraria consultata da Edwin Drake per il primo progetto di trivellazione petrolifera, 1859);
    La convinzione errata sull’uomo sulla luna e sui viaggi nello spazio
    • “L’ipotesi di viaggi nello spazio è una totale assurdità” (Richard Vander Riel Wooley, astronomo inglese, 1956); 
    • “Pensare di attraversare l’Atlantico con una nave a vapore è come pensare di andare sulla Luna: una follia” (Dyonisus Lardner, docente di Astronomia, 1838);
    Il pensiero laterale: le convinzioni errate
    Il pensiero laterale: le convinzioni errate
    Le convinzioni errate nell’ambito della medicina
    • “La teoria dei germi di Luis Pasteur è una ridicola finzione” (Pierre Pachet, docente di fisiologia a Tolosa, 1872);
    • “Alla maggior parte della gente il tabacco fa bene” (Dr.Ian MacDonald, medico di Los Angeles intervistato da Newsweek, 1963);
    Altre convinzioni errate sulle maggiori scoperte scientifiche
    • “Il Sole non gira attorno alla Terra? Folle, eretico, assurdo e falso” (Tribunale dell’inquisizione sulle teorie di Copernico e Galileo, 1616);
    • “Questa invenzione dell’energia elettrica è un fallimento totale” (Erasmus Wilson, presidente dello Stevens Institute of Technology, 1879);
    • Veicoli per andare sott’acqua? Servirebbero solo ad annegare gli equipaggi” (H.G.Wells, scrittore britannico, 1901);
    Le convinzioni rivelatasi purtroppo infondate nel campo bellico
    • “La bomba atomica non esploderà mai. Parlo come esperto di esplosivi” (William Daniel Lehay, Ammiraglio USA 1945)
    • “Grazie alla radio, i Giapponesi non potranno mai attaccarci di sorpresa” (Josephus Daniels, Capo di Stato Maggiore della Marina USA, 1922)
    Le convinzioni errate di Kelvin
    • “L’invenzione dei raggi X è una presa in giro” (Lord William T.Kelvin, famoso fisico e presidente della Royal Society britannica 1900);
    • “È impossibile che qualcosa più pesante dell’aria possa volare” (Lord William T.Kelvin, famoso fisico e presidente della Royal Society britannica, 1895);
    La convinzione errata di Napoleone Bonaparte
    • “Una nave che va controvento? È una sciocchezza” (Napoleone Bonaparte, rispondendo a Robert Fulton, inventore del battello a vapore 1805);
    La convinzione errata di Disraeli
    • “Il canale di Suez? Assolutamente impossibile da realizzare” (Benjamin Disraeli, Primo Ministro britannico, 1858);

    Tutte coloro che hanno pronunciato quelle frasi erano delle autorità anche temute e riverite (Kelvin, Napoleone e Disraeli). Cosa provi ora che le hai lette? Sei sorpreso? Magari deluso perché non credevi che simili personaggi potessero affermare delle tali stupidaggini?

    Rileggendo queste frasi mi chiedo: a cosa sto credendo io ora di veramente stupido che ritengo invece intelligente o importante? Cosa sto facendo ora che credo veramente importante e magari è fondato sul nulla

    Queste domande puoi portele anche tu, insieme a quelle che ti ho suggerito prima. Se troverai delle buone risposte, o meglio delle nuove risposte, potrai guardarti allo specchio e pensare: ho creduto realmente a tutto questo fino ad ora? 

    Mettere in pratica il pensiero laterale

    Ora ti chiedo: vale la pena affliggerti per il tempo che hai perso, o invece, è molto meglio scoprire quanto di nuovo, interessante, eccitante e divertente la tua mente può immaginare a partire da ora? Invece di “raccontartela” scopri qualcosa di nuovo, magari proverai una qualche delusione, ma poi scoprirai anche che il mondo è meravigliosamente ricco di sorprese.

    Piuttosto, ti chiedo, se fossi stato tu a partecipare ad un progetto per realizzare dei PC casalinghi, o progettare la fattibilità del canale di Suez, o comprendere la fattibilità di una nave a vapore, come avresti fatto a capire che si sarebbe trattato di un sogno difficile ma possibile da realizzare e non un fallimento colossale? Questa è la differenza fra perseverare e riuscire e insistere e fallire?

    Qui trovi l’importanza del pensiero critico: mettere alla prova le tue convinzioni e verificare che ti permetteranno di realizzare i risultati che desideri, e credo che a volte in questi casi la fortuna, o meglio il caso, ha una sua importanza.

    Post 3 – Emozioni e sentimenti

    Nel terzo post hai appreso che:

    • C’è una differenza fra emozioni e sentimenti, e svariati autori hanno creato molteplici classificazioni. Quello che desidero che ti rimanga a mente è che ripetersi frasi come “sono stressato”, sono arrabbiato”, “mi dispiace”, non ti permette di capire cosa provi esattamente. È preferibile che tu sia più “accurato”, dando più nomi a cosa provi, perché ogni nome ha un diverso significato e senso.
    • Le emozioni o i sentimenti che provi li hai appresi, almeno in parte, oppure non si spiegherebbe perché qualcuno è terrorizzato dalle altezze e qualcun altro apprezza il bungee jumping! Oppure nel sesso qualcuno ama farsi legare e farsi dire delle parolacce mentre fa sesso e qualcun altro sogna, e desidera vivere la favola del principe azzurro, e qualcun altro desidera vivere la favola del principe azzurro o della principessa, ma fa dei sogni in cui preferisce fare sesso con la sorella della principessa o il fratello del principe!

    Possiamo riassumere quest’argomento dicendo che una gran parte delle emozioni e dei sentimenti che viviamo in relazione a certe esperienze sono frutto del significato, familiare, sociale, culturale che diamo a quelle esperienze. Per lo stesso motivo anche quelle che definivi aspettative e delusioni sono qualcosa di più complesso e magari, almeno alcune, non sono solo delle aspettative e non sono solo delle delusioni.

    Il pensiero laterale: ridurre le delusioni
    Il pensiero laterale: ridurre le delusioni

    Tramutare le aspettative in obiettivi realizzabili

    Desidero qui aggiungere un altro concetto, le delusioni e le aspettative dipendono dallo stato emotivo ma, per “ridurre” le delusioni è importante pianificare le aspettative!

    Vedi, le aspettative che vuoi realmente realizzare sono degli obiettivi che ti poni e ogni obiettivo comporta delle decisioni che prenderai perché quell’aspettativa si realizzi, tutto questo va pianificato. Se cerci sul web gli acronimi S.M.A.R.T. o G.R.O.W. o S.P.E.C.I.F.Y. troverai nel dettaglio delle informazioni su come pianificare efficacemente i tuoi obiettivi. Inoltre, molti coach o counselor hanno creato altri modelli più o meno tutti derivati da questi che ho citato per pianificare gli obiettivi e quindi in sostanza per tramutare le aspettative in obiettivi realizzabili.

    Esercizio sul pensiero laterale

    Dopo questo, lungo riepilogo ti propongo un esercizio sul pensiero laterale, argomento toccato più volte in questo post. Trovati un luogo tranquillo, un foglio di carta e una penna e ascolta prima di tutto questa storia:

    Storia dei due monaci

    Prologo

    C’era una volta in un monastero buddista, in oriente, dei monaci che avevano fra le proprie regole il non parlare, se non lo ritenessero assolutamente necessario, e il non toccare una donna.

    Un giorno il monaco che guidava il monastero chiamo a sé due monaci uno più anziano e l’altro che era un giovane novizio e gli disse che avrebbero dovuto portare un certo documento ad un monastero vicino.

    Il giorno prima della partenza vi era stato un violento temporale. I monaci al mattino però si misero tranquillamente in viaggio, poiché il cielo si era rasserenato.

    Lungo la strada avrebbero dovuto attraversare un piccolo fiume, e quando vi arrivarono scoprirono che il vento e la piena causata dalle piogge aveva danneggiato il ponte che permetteva il passaggio del fiumiciattolo, che si era anche ingrossato. Poiché comunque i due monaci erano abbastanza alti e agili da poter guadare il fiumiciattolo, il monaco anziano disse al giovane novizio che avrebbero dovuto attraversa il fiume a piedi.

    Scena 1

    Nel frattempo, sentirono una donna piangere, si voltarono e videro una giovane ragazza con un sacco che vedendo il fiume piangeva.

    Il monaco anziano alloro le chiese perché piangesse e la ragazza gli rispose che doveva portare la farina che aveva acquistato al villaggio vicino, ma poiché era più bassa dei due monaci se si fosse immersa nel ruscello la farina si sarebbe bagnata e così l’avrebbe persa tutta.

    Scena 2

    Allora il monaco più anziano la rassicurò dicendole che loro l’avrebbero aiutata, disse al novizio di prendere lui sulle spalle il sacco di farina e invitò la donna a mettersi a cavalcioni su di lui per non bagnarsi.

    Alla donna si illuminò il viso e subito porse il sacco al giovane e saltò sulle spalle del monaco più anziano che nel frattempo si era inginocchiato per farla salire sulle sue spalle.

    Scena 3

    Guadato il fiume, il monaco anziano fece scendere la donna e disse al monaco più giovane di porgergli il sacco; quindi, con un sorriso salutò la donna, che grata lo abbracciò, prima di proseguire sulla sua strada.

    Scena 4

    I due monaci si fermarono per accendere un fuoco, cambiarsi d’abito e far asciugare i vestiti bagnati.

    Davanti al fuoco, dopo un po’, il monaco più giovane chiese al monaco più anziano: maestro tu hai rivolto la parola a quella giovane donna e l’hai fatta salire sulle tue spalle. Hai violato due regole per tutti noi importanti, cosa hai da dire?

    Scena 5

    Il monaco più anziano rispose: si è vero, ho fatto salire la donna sulle mie spalle … e l’ho fatta scendere. Sei sicuro che tu non l’abbia ancora sopra di te? E sorrise

    Il pensiero laterale: porre le giuste domande
    Il pensiero laterale: porre le giuste domande

    Esercizio pratico sul pensiero laterale

    Fine della storia. Facciamo ora un esercizio. Ti chiederò di immaginare di essere ogni volta un personaggio della storia, pensa di essere un attore e di vivere cosa avrebbe realmente provato quella persona in quella circostanza che ora ti indicherò. Vedi, ascolta, parla, prova ciò che ogni personaggio vive, per come l’ho raccontato:

    Bene! Esercizio finito, cosa hai appreso dalle risposte hai dato immedesimandoti nei vari personaggi nelle varie fasi? Se ne vuoi parlare scrivimi pure.
    Alla prossima puntata!

    Se in quello che hai letto ritrovi un tuo problema, se ti risuona familiare la situazione descritta, o se avverti che in qualche modo l’argomento trattato ti riguardi, puoi contattarmi chiamandomi al numero 366-3672758 , oppure puoi inviarmi una e-mail a francesco.panareo@gmail.com. Molti clienti prima di te hanno fatto lo stesso, valuta tu quella che è la scelta migliore per te.

    Decidere di risolvere i problemi di relazione interpersonale e di coppia e vivere una maggiore condizione di serenità, credo che sia importante per ognuno di noi. Non posso sapere se decidi di contattarmi, ma posso augurarmi che tu faccia del tuo meglio per realizzare la vita che desideri.

    Se desideri poi approfondire questo argomento, o altri, puoi ugualmente contattarmi, il tuo feedback è importante per me, e mi permette di scrivere degli articoli maggiormente orientati ai tuoi interessi.

    Le emozioni e i sentimenti

    Il processo psicofisico che influenza l’esito delle aspettative

    Ciao in questo post prenderai consapevolezza di quanto le tue emozioni e i tuoi sentimenti possano modificare l’esito delle tue aspettative. Anche se è uno dei post che dedicherò a questo argomento credo che sia un po’ “il cuore” di quanto stai apprendendo riguardo al rapporto fra aspettative e delusioni.

    Riassunto dei post precedenti sulle aspettative e Bias

    Prima di continuare, come al solito, facciamo un breve riepilogo di quanto hai appreso nei post precedenti:

    1. Nel primo post hai compreso che un modo con il quale apprendiamo è attraverso il processo induttivo. Quando ti accadono certe esperienze, tu individui nelle analogie fra quelle esperienze, e in questo modo puoi predire in quali contesti quelle esperienze si ripeteranno nuovamente. In modo analogo, sai anche che questa modalità, ovviamente, a volte, funziona e a volte non funzionerà.
    2. Dal secondo post hai compreso che spesso “ce la raccontiamo”. Diamo, quindi, una versione del nostro vissuto, prima di tutto a noi stessi che ci permette di rimanere coerenti con le nostre convinzioni. Hai compreso, inoltre, che non è una faccenda di “giusto” o “sbagliato”. Semplicemente “difendi” quello in cui credi ed è un processo mentale innato come molte altre “scorciatoie” che usa la tua mente. Ricorda che, più dici di credere di essere immune da questi processi, e più sei sensibile.
    Le emozioni e i sentimenti: dissonanze cognitive
    Le emozioni e i sentimenti: dissonanze cognitive

    Le emozioni e i sentimenti

    Bene, adesso focalizziamoci sull’argomento di questo post. Torna ad un momento in cui hai avuto una certa aspettativa e poi ti sei sentito deluso, cosa provavi quando avevi quell’aspettativa? E come ti sei sentito quando hai provato quella delusione? Le emozioni e i sentimenti sono ciò che danno un colore alla tua vita, alle tue esperienze. Sono anche una parte importante di ciò che contribuisce a dare un senso alla tua esistenza.

    Poiché ho nominato due concetti diversi, emozioni e sentimenti, prima di continuare, desidero dartene una breve definizione e comprenderai più avanti il perché.

    Le definizione di Galimberti

    Umberto Galimberti noto filosofo e psicoanalista definisce l’emozione come:“Reazione affettiva intensa con insorgenza acuta e di breve durata, determinata da uno stimolo ambientale. La sua comparsa provoca una modificazione a livello somatico, vegetativo e psichico”.

    E definisce i sentimenti come: Risonanza affettiva …  più duratura dell’emozione con cui il soggetto vive propri stati soggettivi e gli aspetti del mondo esterno.

    Per gli psicologi A. Wilhelm, H. J. Eysenck e R. Meili un aspetto importante delle emozioni è che spingono all’azione.

    L’emozione della paura

    Per intenderci, l’emozione è il modo in cui in cui, a livello mentale e somatico, reagisci nell’immediatezza ad una certa esperienza. Se ti trovi in un luogo non familiare in cui credi non ci sia nessuno e ti senti sfiorare la spalla proverai paura: questa è l’emozione. Puoi scoprire che c’era una tenda alle tue spalle che non potevi vedere. Passata la paura, dopo aver visto la tenda, rimarrai in uno stato di agitazione;
    Ora che sei consapevole di aver paura, puoi dare diversi nomi a ciò che provi: agitazione, ansia, angoscia, apprensione, ecc. quelli si definiscono sentimenti.

    Il processo psicofisico che genera emozioni e sentimenti

    Le emozioni e i sentimenti non sono sempre stati pensati come oggi, sono frutto di una elaborazione recente. Il primo ad intenderli come frutto di un processo psico-fisico fu il medico inglese Thomas Willis nel 1600. Poi un contributo importante fu dato, tra gli altri da Charles Darwin, e dallo psicologo e filosofo statunitense William James il quale affermò che Il senso comune dice che se ci accade qualcosa di brutto, siamo dispiaciuti e singhiozziamo (…) La mia ipotesi (…) è che ci sentiamo dispiaciuti perché piangiamo, arrabbiati perché ci accaloriamo, impauriti perché tremiamo.

    Arrivando ai giorni nostri, la psicologa e ricercatrice Lisa Feldemn Barret ha confermato l’intuizione di William James: abbiamo paura perché immaginiamo che ciò che ci ha sfiorato la spalla possa essere un pericolo, poiché nella nostra mente colleghiamo l’esperienza che stiamo vivendo a qualcosa che potrebbe essere un pericolo; ma non abbiamo paura perché siamo stati sfiorati dalla tenda! Questo significa che la maggior parte delle nostre emozioni è appresa. Se fossimo vissuti in una foresta, dove siamo abituati a sentire delle foglie o dei rami che ci sfiorano, quella sensazione sarebbe solo la sensazione di un ramo che ci sfiora. Ma nonattiverebbe” l’emozione della paura. Se ci pensi alcuni provano paura ad andare sulle montagne russe e altri no; alcuni provano gioia nell’essere d’aiuto al prossimo altri no

    Le fobie

    Le fobie sono un esempio classico. Nessuno nasce con delle fobie “innate” alcuni hanno paura dei ragni, altri no. Alcuni provano gioia nel passeggiare in un prato, per altri si chiama agorafobia. Ognuno da un proprio nome e un certo valore alle esperienze che prova

    Le emozioni e i sentimenti:: le fobie
    Le emozioni e i sentimenti:: le fobie

    Un concetto interessante: la granularità emotiva

    Aggiungiamo un ultimo concetto: con il passare del tempo usiamo un vocabolario sempre più ristretto di parole. Ricordo una coppia di amici quando ero adolescente che, per gioco, leggeva dei termini sul vocabolario e poi cercavano di trovare il contesto in cui usarli. In quel periodo mi sembrava qualcosa di bizzarro, oggi credo che i ragazzi usino poco il vocabolario. E per quanto l’argomento sia di difficile definizione credo che con il passare del tempo si usino sempre meno parole. 

    Se ci pensi, tu puoi comunicare a qualcuno che, hai una bella sedia in casa poiché hai un termine che definisce il concetto di sedia. Se tu non l’avessi, dovresti descrivere quell’oggetto per analogie e tramite le esperienze che possedere e usare quella sedia ti comportano. Tutto ciò non riguarda ovviamente solo la sedia ma qualsiasi altra parola. Spesso se sei stanco ti dirai, probabilmente che sei stressato, oppure “esaurito”. Ora hai compreso che stai provando un sentimento: uno stato d’animo duraturo di cui una certa consapevolezza e gli attribuisci un nome.

    Definizione di granularità emotiva

    È il suo “vero” nome? La psicologa che ho citato prima Lisa Feldemn Barret definisce la capacità di esprimere i sentimenti in parole con un alto grado di specificità e precisione con il nome di “granularità emotiva”. In sostanza più nomi hai per definire le tue emozioni o i tuoi stati d’animo e maggiore consapevolezza hai di cosa provi

    Se non sei consapevole di cosa provi e magari non ti piace, come fai a “distaccarti” da lì? Inoltre, per lo stesso motivo come fai a comprendere cosa vuoi provare, se egualmente non ne sei abbastanza consapevole? Se non dai un nome e un valore alle esperienze, tutto diventa più difficile, e più sarai accurato più scoprirai la ricchezza di quel che hai vissuto e di quello che puoi desiderare vivere.

    Le esperienze stressanti quotidiane

    Spesso si usa nella quotidianità il termine “stress”: ho avuto una giornata stressante, il colloquio con quel cliente o collega è stato stressante. Ma cosa significa stressante? Significa tutto e niente. Cos’è allora la delusione? Magari è tristezza, o rabbia o noia.

    Le emozioni e i sentimenti: lo stress
    Le emozioni e i sentimenti: lo stress

    Una esperienza personale: la giostra

    Torniamo ora al nostro post. Hai compreso che per aver paura o provare gioia, in una certa misura, devi già avere appreso che quell’esperienza che stai vivendo, per te, significa gioia o paura?

    Ricordo la prima volta che salii su una certa giostra. Ero adolescente e non avevo idea di cosa avrei provato, fino ad allora non ero mai salito su una giostra come quella. Ricordo che al termine della corsa dopo essere stato sballottolato decisi che era veramente qualcosa di stupido e me ne andai irritato. Non ci sono più tornato. Ovviamente, per me il sentimento che provai allora fu di fastidio. Non avevo avuto altre esperienze simili e nessuno mi aveva detto che saltare sulla giostra sarebbe stato divertente e per me non fu affatto divertente. Mi sentii arrabbiato perché mi facevano male le braccia, frustrato per averci investito una parte, del poco, denaro che avevo, e incompreso perché i miei amici si divertirono e io no.

    Le classificazioni delle emozioni e dei sentimenti

    Vi sono svariate classificazioni delle emozioni, ad esempio Paul Elkman le classifica in “emozioni primarie” (rabbia, paura, tristezza, gioia, disprezzo, disgusto) ed “emozioni secondarie” (invidia, vergogna, ansia, rassegnazione, gelosia, speranza, perdono, offesa, nostalgia, rimorso, delusione). Se cerchi sul web troverai dozzine di classificazioni più o meno simili. La ricercatrice Tiffany Watt Smith, studiandone le peculiarità sociali, cioè il fatto che alcune emozioni (ma sarebbe più opportuno in questo caso parlare di sentimenti) che sono tipiche di alcune culture, ne ha addirittura classificate centocinquantasei!

    Considerazione su emozioni sentimenti e aspettative

    Tornando a noi e all’argomento di questa serie di post, se ci pensi, per quello che hai appreso fino ad ora, la delusione è un sentimento. E ti ricordi poi di quando avevi una aspettativa importante? Ad esempio, da bimbo o bimba per il giorno di Natale o per un tuo compleanno? Cosa provavi? Avevi aspettative diverse per un regalo di Natale o una visita a sorpresa di un parente

    Le emozioni e i sentimenti: le sorprese
    Le emozioni e i sentimenti: le sorprese

    Emozioni e sentimenti influiscono sull’esito delle aspettative

    Capisci ora quanto le emozioni e i sentimenti influiscono nel processo che porta da una aspettativa ad una delusione, o ad una soddisfazione?

    Quante volte ti è accaduto di partire con le migliori intenzioni in un certo progetto e poi, dopo esserti reso conto di alcuni aspetti che non avevi considerato, ti sei sentito terribilmente deluso? Torna a quel momento se hai vissuto una esperienza analoga, cos’altro hai vissuto? Tristezza? Frustrazione? Cos’altro?

    Oppure, quante volte hai creduto di non essere all’altezza di un determinato compito che hai svolto e poi invece hai ricevuto dei complimenti per il tuo operato? O piuttosto credevi di aver fatto un magnifico lavoro per poi scoprire che i risultati si sono rivelati poi deludenti? Cos’altro hai provato? Sorpresa? Curiosità? Cos’altro?

    O ti è accaduto che ti sei fatto una certa idea di una persona. per poi scoprire che non fosse corrispondente alla realtà? Forse a causa di alcuni suoi comportamenti che si sono manifestati successivamente. Cosa hai provato? Rabbia? Cos’altro?

    Il nostro scopo: focalizzarsi sullo stato emotivo

    Quello su cui voglio che ti focalizzi è: qual è lo stato emotivo in cui ti trovavi quando hai creduto di non essere all’altezza o di aver fatto un ottimo lavoro? O ancora, come ti sentivi quando ti sei fatto quell’idea di quella persona?

    Incomincia a dare più nomi alle esperienze che hai vissuto, nota quante emozioni o sentimenti hai provato tutte insieme, o in brevi sequenze ravvicinate.

    In questo post voglio che tu prenda consapevolezza del fatto che le delusioni non sono “solodelusioni. In quelle circostanze hai provato probabilmente anche rabbia, tristezza, nostalgia, senso di colpa, ecc. E ogni sentimento aveva una sua origine e ha un suo scopo. E’ inutile ripetersi: se avessi fatto così o se avessi saputo questo o quello … o mentire a te stesso – vedi i Bias. Ha più senso, invece, pensare a cosa volevi ottenere, e se era realmente quello che volevi. Se hai commesso degli errori e quali, per evitare di ripeterli. Se hai provato delle emozioni e quali, che ti permettono di apprendere qualcosa in più sul tuo modo di essere e reagire.

    Esercizio: Una aspettativa che non dipende da te

    Concludiamo questo post con un esercizio. Poniti una aspettativaconcreta. Quindi un obiettivo che desideri realizzare, ti chiedo anche che quell’obiettivo non sia completamente sotto il tuo controllo. Questo criterio è abbastanza facile da individuare. Immagina che tu voglia intraprendere una nuova attività (obiettivo che sicuramente ha diverse variabili che non dipendono da te) o tu voglia creare o mantenere una relazione con una certa persona (anche questa aspettativa non può essere, ovviamente, pienamente, sotto il tuo controllo). Sono quindi delle aspettative che per tramutarsi in obiettivi concreti sicuramente hanno una certa parte piuttosto importante che non dipende da te.

    Premessa sull’esercizio

    Premesso che più un obiettivo non dipende da te più è improbabile che si realizzi, in questa circostanza. Quindi, per questo esercizio ti chiedo di individuare proprio delle aspettative di questo genere.

    Ora, trovati un posto tranquillo e prenditi una quindicina di minuti per fare questo esercizio. Punta sul tuo smartphone un timer a sei minuti e incomincia.

    Immagina di voler realizzare quella aspettativa che hai scelto immaginando che il mondo circostante sia un luogo pieno di pericoli e di rischi. Avverti dentro di te la tensione e il senso del pericolo mentre cerchi di mantenere quella aspettativa di realizzazione di quell’obiettivo.

    Le emozioni e i sentimenti: negatività
    Le emozioni e i sentimenti: negatività

    Chiudi gli occhi e “entra” in quella esperienza di rischio e di pericolo e di aspettativa di quell’obiettivo e attendi fino a quando lo smartphone non ti segnala che sono passati i sei minuti

    Cosa provi? Quanto ritieni credibile di poter realizzare quella aspettativa?

    Scrivi le tue impressioni.

    Cambiamo lo scenario: positività

    Ora scrollati un po’, respira profondamente e cambiamo scenario.

    Immagina di volere realizzare quella stessa aspettativa immaginando che il mondo circostante sia un luogo ricco di fiducia, di amore, di comprensione e di gratitudine. Nel farlo nota le differenze fra questi sentimenti

    Ora crea con lo smartphone un nuovo timing a sei minuti. Chiudi gli occhi e vivi quell’esperienza, quell’aspettativa in quel mondo e attendi che termini il timing

    Ora nuovamente scrivi la tua impressione.

    Bene avrai ovviamente notato le differenze che sono dovute in gran parte proprio al potere che le emozioni, e le convinzioni hanno sulle tue aspettative. Cosa te ne pare?

    Le emozioni e i sentimenti: positività
    Le emozioni e i sentimenti: positività

    Se in quello che hai letto ritrovi un tuo problema, se ti risuona familiare la situazione descritta, o se avverti che in qualche modo l’argomento trattato ti riguardi, puoi contattarmi chiamandomi al numero 366-3672758 , oppure puoi inviarmi una e-mail a francesco.panareo@gmail.com. Molti clienti prima di te hanno fatto lo stesso, valuta tu quella che è la scelta migliore per te.

    Decidere di risolvere i problemi di relazione interpersonale e di coppia e vivere una maggiore condizione di serenità, credo che sia importante per ognuno di noi. Non posso sapere se decidi di contattarmi, ma posso augurarmi che tu faccia del tuo meglio per realizzare la vita che desideri.

    Se desideri poi approfondire questo argomento, o altri, puoi ugualmente contattarmi, il tuo feedback è importante per me, e mi permette di scrivere degli articoli maggiormente orientati ai tuoi interessi.

    I Bias

    Le aspettative mancate e gli errori di valutazione

    Ciao, in questo post comprenderai uno dei motivi per i quali le persone, e quindi anche tu, hanno a volte dei comportamenti apparentemente senza senso. A tal proposito, tratteremo quei processi mentali che vengono definiti come Bias cognitivi.

    Ah, prima di riepilogare, come è andata con l’esercizio degli opposti? Se hai dei commenti in proposito scrivimi pure.

    Rivediamo il post precedente sulle aspettative

    Ritorniamo alla ricapitolazione. Fino ad ora hai appreso un aspetto che riguarda la relazione fra aspettative e delusioni:

    1. Hai compreso, fino ad ora, che la tua mente apprende anche grazie ad un processo (l’apprendimento induttivo) in cui, partendo da una serie di esperienze, crea una sorta di teoria generale che applicherà anche in altri contesti

    La tua mente predice quello che accadrà partendo da alcuni indizi che collega arbitrariamente fra loro. E sai che questo processo di apprendimento a volte è efficace e a volte no.

    Le aspettative: il tacchino induttivista
    Le aspettative: il tacchino induttivista

    Ora, apprenderai come, a differenza del tacchino del post precedente, connettere degli indizi, invece, ti permette, a volte, di comprendere efficacemente. Proprio perché la mente analizza la realtà basandosi sugli elementi che ha già. Comprenderai anche come la nostra mente distorce sempre la realtà, e questo processo a volte ha esisti positivi e a volte negativi.

    Le inferenze e i Bias

    Partiamo dal comprendere come la mente avendo poche informazioni, anche errate, ci permette, comunque, di comprendere la realtà circostante. Ti faccio un esempio che lessi su di un libro alcuni anni fa:

    Sceodno una rcrecia sovtla in una unisertà iatilana, non ha ipmotrzana in qalue odrnie le ltetree snoo dsioptse in una prola l’ucina csoa ipmotratne èche la pmira e l’utlmia ltereta sanio al psto gustio. Il rseto può esrese una talote cnfosounie ed esrese acnroa cmpolteanemte cmprosneilibe. Qeutso prehcè non lgegamio ongi sniolga ltertea ma la praloa nlela sua itnezreza. [testo tratto da Mai fidarsi della mente – Sergio Della Sala – Michaela Dewar]

    Sei riuscito a leggere ugualmente? Magari, sei andato un po’ lentamente, ma rileggendo sei riuscito a comprendere tutte le parole. La mente legge la prima e l’ultima lettera e poi ricostruisce il significato della parola. Le tue conclusioni vengono chiamate anche “inferenze”. Sono le scorciatoie che usa la mente per giungere a farsi un’idea di qualcosa, senza avere poi abbastanza informazioni e commettendo, a volte, facilmente, degli errori.

    I Bias cognitivi

    Questi processi mentali o inferenze, si chiamano anche Bias cognitivi. Sono dei modi in cui la mente, tramite delle “scorciatoie”, generalmente, ci fa commettere degli errori di valutazione. A oggi gli psicologi ne hanno classificati alcune decine. In questo caso però quel processo ti ha permesso di leggere correttamente la frase.

    Rispetto al problema delle aspettative mancate, un Bias significativo per spiegare il problema è quello di conferma. Significa che cerchiamo informazioni che avvalorino quello che già crediamo vero, un po’ come il tacchino, ma in modo più complesso.

    Rispetto al problema delle aspettative mancate, un Bias significativo per spiegare il problema, è quello di conferma. Significa che cerchiamo informazioni che avvalorino quello che già crediamo vero. Un po’ come il tacchino, ma in modo più complesso.

    Un racconto per spiegare i Bias

    In proposito ti riporto un pezzo di un racconto che ho trovato sul sito del CICAP www.cicap.org

    La profezia del pianeta Clarion e la setta The Seekers di Dorothy Martin

    “La profezia del pianeta Clarion avvisa la città: salvatevi dal diluvio!”. Così titolava un giornale locale americano nel lontano settembre del 1954. L’allarme era stato lanciato da Dorothy Martin, una casalinga del Michigan a capo di una setta millenaristica (The Seekers, “I cercatori”), che sosteneva di essere in contatto con una congregazione di extraterrestri, con cui comunicava per mezzo della scrittura automatica. L’imminente catastrofe avrebbe devastato la Terra, risparmiando tuttavia coloro che avessero creduto davvero in quel messaggio.

    L’idea di Leon Festinger

    Ai più, la strana notizia fece ridere, ma non a Leon Festinger, all’epoca ricercatore presso l’università del Minnesota, che vi scorse un’opportunità irripetibile per studiare a fondo quello che poi divenne uno dei concetti fondamentali della psicologia sociale: la dissonanza cognitiva

    Bias cognitivi: Bias di conferma
    Bias cognitivi: Bias di conferma

    L’ambiziosa idea dello studioso fu di infiltrarsi tra i proseliti di Martin, persone che avevano fatto in nome della setta alcune scelte drastiche, quali l’abbandono della famiglia, del lavoro e la cessione di tutti i propri beni. Persone il cui passato tormentato ricorda quello di Joaquin Phoenix nel film The Master, nel quale un veterano di guerra diviene discepolo di una organizzazione religiosa capitanata da una figura carismatica, parzialmente ispirata dal personaggio di Ron Hubbard, fondatore di Scientology.

    Le intenzioni di Festinger

    Confondendosi nel gruppo, Festinger intendeva osservarne il comportamento a mano a mano che l’apocalisse si avvicinava, per vedere come avrebbe reagito una volta che la profezia si fosse rivelata sbagliata. Quando arrivò l’ora X, che era stata prevista per la mezzanotte del 21 dicembre 1954, nessun cataclisma si infranse rovinosamente, né si vide l’ombra di alcuna astronave scendere dal cielo per prelevare la profetessa e i suoi adepti.

    Le reazioni della setta e la teoria di Festinger

    Tuttavia, davanti alla moltitudine di persone deluse e sconcertate riunitasi nella sua casa, Martin non si scompose e affermò solennemente che gli alieni le avevano comunicato che il pianeta Terra era stato salvato dalla distruzione grazie alle sue preghiere e a quelle dei suoi proseliti. Di fronte a questo fallimento annunciato, Festinger aveva ipotizzato una reazione ben precisa tra i discepoli di Martin: invece di abbandonare le loro false credenze sui poteri sovrannaturali della profetessa, avrebbero preferito ignorare la realtà dei fatti, cercando in qualche modo di “ridefinire”, di razionalizzare, quanto accaduto. Fu proprio quello che accadde: dopo un iniziale smarrimento, avendo troppo da perdere nel riconoscere l’errore, le persone si convinsero di aver salvato il mondo con la loro fede.

    Bias di conferma o dissonanza cognitiva

    Ecco in questa storia la descrizione di un fenomeno che trova spiegazione nel Bias di conferma o dissonanza cognitiva. Se ci pensi, è già un buon modo per evitare le delusioni! Basta crearti un mondo di omini verdi, UFO, e trovare un po’ di gente che puoi convincere di quella realtà! Diciamo che può anche funzionare ma non te lo consiglio. Credo che sia preferibile affrontare delle delusioni, anche cocenti, ma affrontarle comunque. Imparare a saper andare avanti, piuttosto che crearti un mondo di fantasia e sforzarti perché altri ci credano.

    Bias cognitivi: dissonanze cognitive
    Bias cognitivi: dissonanze cognitive

    Ritorniamo al nostro post. Ora hai compreso che collegare delle esperienze fra di loro ti permette di farti delle idee. Quelle idee a volte “funzionano” e a volte no. Certamente, tutti noi abbiamo inconsciamente una certa propensione ad affezionarci alle nostre idee. Abituarti a credere che quelle idee non sono vere, ti permetterà di creartene di nuove. Sai anche che, le idee, non sono “vere”, sono solo delle idee. A volte ti permettono di vivere meglio a volte no. Qual è il criterio che ti permette di comprendere la differenza fra quell’ “a volte si” e “a volte no”?

    Una storia con il finale a sorpresa

    Tanto tempo fa, durante un corso di formazione, un docente ci raccontò la storia di un uomo che, al chiuso della sua casa, ascolta all’esterno il suono degli zoccoli di un animale, e pensa che si tratti di un cavallo. Poi ci chiese cosa ne pensavamo dell’idea che si era fatto quell’uomo e tutti dicemmo che ci sembrava una opinione credibile. Finì il racconto dicendo che quell’uomo rimase sorpreso quando aprendo la finestra vide una zebra trottare. Poi si ricordò che vicino casa sua c’era da poco un circo: la zebra era semplicemente scappata dal circo. Quindi il docente ci chiese come ci sentivamo e qualcuno era confuso, qualcuno ancora meravigliato per l’immagine della zebra. Qualcuno semplicemente non aveva capito lo scopo del racconto.

    Il docente ci spiegò, poi, che l’uomo, generalizzando l’esperienza del suono degli zoccoli che ha ascoltato più volte, penserà appunto ad un cavallo. Questo accadrà se non si affaccerà ad una finestra della casa, invece, affacciandosi vedrà appunto la zebra. Poi il docente ci chiese di pensare alle nostre “zebre”, cioè a quanto di inaspettato ci era accaduto nella vita. Ci chiese inoltre di ricordare il perché avevamo generalizzato una certa esperienza, e se avevamo aperto o meno una “finestra” per capire cosa stesse accadendo. Quando è la “zebra” ad entrarci direttamente in casa, quello è il momento in cui si generano le sorprese o le delusioni.

    I Bias e le convinzioni che ci creiamo nel corso della nostra vita

    Quale finestra puoi aprire nella tua mente per comprendere se una tua convinzione è efficace? Come hai visto nel post sulle aspettative di coppia per comprendere se le nostre aspettative sono realizzate servono dei criteri. In quel post ho connesso le tue aspettative a dei valori, ciò che per te è importante. Ho fatto in modo che tu potessi connettere quei valori a dei comportamenti specifici condivisi nella relazione.

    Quante volte non hai compreso che il tuo partner aveva delle esigenze diverse da quelle che credevi? Perché ti sei “affezionatoall’immagine che ti eri fatto del tuo partner

    Oppure, hai mai pensato che un certo lavoro che svolgi, magari, lo volesse solo la tua famiglia e non tu? Puoi chiederti allora: perché mi sono convinto che fosse giusto quello che loro volevano per me?

    Ti è mai accaduto che una persona ti stesse facendo del male e magari tu lo hai capito solo dopo che ne hai pagato le conseguenze? Ti sei accorto, sostanzialmente, che qualcuno non era come ti è apparso la prima volta o è cambiato nel tempo, ma tu eri rimasto ancorato alla prima immagine che ti eri fatto. 

    O, magari, ti è successo che un certo amico, dopo tanto tempo lo trovassi “cambiato” o che un tuo amico dicesse questo di te? Diceva Michelangelo: nella memoria di chi ci ha frequentati nel passato recitiamo sempre la stessa parte.

    Quanta differenza passa fra te è e gli adepti della setta che ti ho descritto prima? Quanto è diverso il tuo modo di pensare dal pensiero di quell’uomo rispetto alla zebra? Credimi, se ti dico che, spesso, mi chiedo dove sono le mie finestre che mi permetteranno di scoprire, realmente, cosa rappresentano i suoni che ascolto.

    Bias cognitivi: le convinzioni
    Bias cognitivi: le convinzioni

    Un errore da evitare

    Il primo errore che potresti commettere dopo aver letto queste righe e di credere di essere “immune” a questo rapporto fra aspettative e realtà. O perché credi di aver appreso abbastanza dalla vita, nel male o nel bene, o perché credi di aver ricevuto la tua “dose” di delusioni. Come se ci fosse una specie di spia, come quella dei termostati, che ti dice: ok, hai ricevuto troppe delusioni, ora magicamente, qualunque cosa tu faccia non ne riceverai mai altre! Oppure perché credi di essere troppo furbo o intelligente.

    Un esercizio di memoria

    Ora ti suggerisco un esercizio, di memoria.
    Torna alla mente ad un momento in cui desideravi fortemente portare a termine un certo progetto… ma poi ti sei reso conto a posteriori che non potevi farcela. Non era quello che volevi, o c’erano delle difficoltà per te insormontabili in quel momento. Cosa provavi mentre ce la mettevi tutta?

    Ora torna ad un momento in cui ce l’hai messa tutta in un progetto, o nel realizzare un certo obiettivo, personale o professionale, e invece ci sei riuscito. Cosa provavi mentre ce la mettevi tutta?

    Bada bene, può essere che ce la mettevi tutta per mantenere una relazione, o tenerti stretto un certo lavoro, o cercarne attivamente uno nuovo. Quello su cui voglio che ti focalizzi sono i momenti in cui eri consapevole che ti stavi impegnando.

    Poniti alcune domande:

    Che differenza passa fra le due esperienze? Cosa ti dicevi? Che nome hai dato a ciò che provavi? Fai quindi una breve descrizione delle due situazioni, e annota: 

    • cosa provavi, quali emozioni in sostanza provavi, non limitarti ad un nome solo, torna a tutto il ventaglio delle emozioni che hai provato in quelle due esperienze
    • cosa credevi, quali convinzioni ti hanno supportato in quelle esperienze 
    • cosa era importante per te, quali erano i valori che ti hanno supportato. Se non ti è chiaro cos’è un valore ne ho parlato ampliamente in un post specifico
    • quali azioni compivi in entrambe le esperienze, quali comportamenti quindi avevi nello specifico in quelle esperienze

    Scrivilo, per entrambe le esperienze. Per quella in cui la tua aspettativa si è poi tramutata in un successo e per quella in cui poi l’aspettativa si è tramutata in una delusione. Può essere un’esperienza piuttosto complessa, come la ricerca di un nuovo lavoro, o un’esperienza semplice come l’alterco con un amico. Torneremo su questo esercizio in un prossimo post.

    Bias cognitivi: convinzioni che aiutano
    Bias cognitivi: convinzioni che aiutano

    Se in quello che hai letto ritrovi un tuo problema, se ti risuona familiare la situazione descritta, o se avverti che in qualche modo l’argomento trattato ti riguardi, puoi contattarmi chiamandomi al numero 366-3672758 , oppure puoi inviarmi una e-mail a francesco.panareo@gmail.com. Molti clienti prima di te hanno fatto lo stesso, valuta tu quella che è la scelta migliore per te.

    Decidere di risolvere i problemi di relazione interpersonale e di coppia e vivere una maggiore condizione di serenità, credo che sia importante per ognuno di noi. Non posso sapere se decidi di contattarmi, ma posso augurarmi che tu faccia del tuo meglio per realizzare la vita che desideri.

    Se desideri poi approfondire questo argomento, o altri, puoi ugualmente contattarmi, il tuo feedback è importante per me, e mi permette di scrivere degli articoli maggiormente orientati ai tuoi interessi.

    Le aspettative

    Come evitare le convinzioni per non affrontare le delusioni

    Nei prossimi post apprenderai qualcosa su di un argomento che, in qualche modo riguarda tutti noi. Perché stai leggendo questo post? Perché alcune persone seguono quello che scrivo? Certamente per più motivi, e io non posso conoscerli tutti. Certamente so che alcuni lo fanno per curiosità, alcuni mi conoscono personalmente e vorrebbero sapere come la penso su certi argomenti. Altri sono o sono stati miei clienti, e hanno piacere ad apprendere ancora da me. Cosa accomuna tutte queste motivazioni? Ognuna di esse ha, di fondo, delle aspettative, diverse per ognuno, riguardo a cosa leggerà e cosa apprenderà leggendo.

    Le aspettative nelle relazioni di coppia

    Abbiamo delle aspettative, sui nostri amici, parenti, partner e colleghi. In passato ho pubblicato un altro post riguardo alle aspettative di coppia. In quel caso ho posto maggiormente l’attenzione sul rapporto fra aspettative e comportamenti in una relazione di coppia. In questo caso scoprirai come si generano le aspettative che puoi avere verso te stesso, o verso gli altri o verso esperienze che ti appresti a vivere. E potrai comprendere come l’atteggiamento che hai quando crei delle aspettative fa la differenza.

    Aspettative esplicite e implicite

    Ritornando al concetto di aspettative, quindi, tutti abbiamo sempre delle aspettative. Sono esplicite, quando ce lo diciamo, o sono implicite, quando semplicemente siamo convinti di aspettarci qualcosa da una certa esperienza o da una persona. Se in una relazione o da una certa esperienza puoi affermare che non sai cosa aspettarti, hai, sempre, comunque, delle aspettative implicite. Sicuramente, in una relazione, non credo che desidererai soffrire tutto il tempo! 

    Generalmente, quando qualcuno mi dice che non ha delle aspettative riguardo ad una certa esperienza, significa che ha poco chiaro ciò che non vuole. E ha delle idee ancora più confuse su cosa desidera. In sostanza ha delle aspettative implicite.

    I modelli predittivi della realtà

    Perché si creano delle aspettative? Questo accade poiché la nostra mente crea dei modelli predittivi della realtà. Significa semplicemente che, se ci siamo fatti una certa idea su qualcosa ci aspettiamo una riconferma di ciò che abbiamo immaginato. Facciamo un paio di esempi:

    Esempi di aspettative

    Poniamo che ogni mattino tu faccia sempre lo stesso tragitto per andare all’ufficio in auto. Questo perché tu credi che quel percorso ti permetta di arrivare ad un orario opportuno per te. Se, ad esempio, un mattino noti che il traffico aumenta, man mano che continui a percorrere quella strada, può essere che, prima che ti convinca di cambiare strada, tu rimanga imbottigliato. Quello che non sai è che quel giorno a causa di alcuni lavori le carreggiate sono parzialmente bloccate e si è creato un ingorgo. Ma, poiché ti aspettavi che andasse tutto liscio, hai creduto, anche dopo aver visto i primi indizi dell’ingorgo, che in qualche modo si sarebbe risolto facilmente. Ti sei creato una convinzione poco utile basata sull’aspettativa che quella strada è sempre scorrevole.

    La storia di Russel e Popper sul tacchino induttivista

    Mi viene in mente in proposito la storia del tacchino induttivista del matematico e filosofo Bertrand Russell, ripresa poi anche dal filosofo epistemologo Karl Popper: Fin dal primo giorno di permanenza nel suo nuovo allevamento il tacchino aveva osservato che alle nove del mattino gli veniva portato il cibo. Da buon induttivista non trasse precipitose conclusioni dalle prime osservazioni e ne eseguì altre in una vasta gamma di circostanze: di mercoledì e di giovedì, nei giorni caldi e in quelli freddi, sia che piovesse sia che splendesse il sole. Finalmente la sua coscienza induttivista fu soddisfatta e il tacchino elaborò allora un’induzione che dalle asserzioni particolari relative alle sue vicende alimentari lo fece passare a un’asserzione generale, una legge, che suonava così: “Tutti i giorni, alle ore nove, mi danno il cibo”. Purtroppo per il tacchino, e per l’induttivismo, la conclusione fu clamorosamente smentita la mattina della Vigilia di Natale! [The Problems of Philosophy].

    Le aspettative: il tacchino induttivista
    Le aspettative: il tacchino induttivista
    Definiamo l’induttivismo

    Il tacchino si chiama induttivista poiché il concetto che ruota intorno a questi due esempi è quel metodo di apprendimento che si definisce induttivo. Concetto per il quale, vivendo una certa esperienza, che notiamo si ripete con delle analogie per un certo tempo, giungeremo poi alla conclusione che si ripeterà per un tempo, per il quale non ci diamo un limite specifico.

    Quindi, generiamo una aspettativa riguardo al ripetersi di quell’esperienza, partendo dal caso particolare, che si ripete con una certa costanza. Fino a creare una ipotesi generale, che potrebbe essere, nel caso della strada: la strada è generalmente libera.

    Esempio sulle relazioni interpersonali

    Facciamo un esempio che riguarda le relazioni interpersonali. Poni che tu conosca una persona, che sai essere una persona simpatica e solare, e che hai sempre visto in contesti in cui era allegra e sorridente. Il giorno che la vedrai arrabbiata il tuo primo sentimento, per un istante, sarà di una sorta di straniamento: non comprendi cosa stia accadendo. Poi dopo un attimo capirai che anche quella persona simpatica in quel momento potrebbe essere delusa, arrabbiata, triste, ecc.

    In quel momento, hai creato una nuova cornice a quel quadro. Un quadro che è parte del grande panorama che è la tua vita nel quale dai un nuovo senso all’immagine che hai di quella persona. A partire da quel momento la potrai descrivere anche con delle altre parole che fino ad allora non avresti pensato. E il ricordo che avrai di lei ti susciterà un ventaglio maggiore di emozioni rispetto a prima di quell’esperienza. Tutto questo è il nuovo vissuto che hai appreso.

    La mancate aspettative e le delusioni

    Chi ha subito il tradimento di un partner sa cosa significhi cadergli il mondo addosso se … non se l’aspettava. Magari, ripeti quotidianamente le stesse abitudini, vi dite all’incirca le stesse parole ogni giorno. Salvo che, il tuo partner ti dica che da mesi ha una relazione. E a quel punto, magari, ti incolpi di non essertene nemmeno accorto o accorta.

    Le aspettative sono le nostre finzioni inconsapevoli che ci permettono di vivere la realtà per come la desideriamo… A patto che la realtà si conformi alle nostre aspettative! E questo è piuttosto improbabile. Di conseguenza, quello che accade è che alcune aspettative, se commisurate ai nostri sforzi per realizzarle e al contesto in cui operiamo saranno poi realizzate. E altre non si realizzeranno mai. 

    Le mancate aspettative generano delusioni. Una delusione, etimologicamente, derivando dal latino de ludere, significa “prendersi gioco di …”. Le delusioni sono il modo in cui, metaforicamente, la realtà si prende gioco delle nostre aspettative che non si sono realizzate, per mille motivi. Perché non siamo stati consapevoli delle nostre risorse, oppure non abbiamo valutato il contesto nel quale le avremmo dovute realizzare, ecc.

    Il dott. Richard Bandler, psicologo linguista e coach afferma che: uno dei sistemi migliori per procurarsi una vita piena di delusioni consiste nel costruirsi un’immagine di come si vorrebbe che le cose fossero, e poi cercare di adattare tutto quanto a quell’immagine.

    Un esempio significativo nelle sessioni di counseling: le porte

    Spesso quando parlo con i miei clienti di aspettative e delusioni faccio un esempio molto semplice: l’apertura di una porta.

    Abbiamo porte che si aprono verso l’interno e porte che si aprono verso l’esterno. Se nella vita hai trovato solo porte che si aprono verso l’esterno, cosa farai la volta che proverai ad aprire una porta verso l’interno e quella non si aprirà? Provi ad aprire verso l’interno o insisti? Credo che almeno per un paio di volte insisterai e poi magari ti guarderai intorno e poi proverai di nuovo. Magari te la prenderai con la porta, come se fosse un oggetto vivo o crederai che qualcuno l’abbia chiusa a chiave.

    Le aspettative: l'apertura delle porte
    Le aspettative: l’apertura delle porte

    Mi auguro a questo punto noterai che se girerai la maniglia e la porterai anche solo leggermente verso di te, credendo che sia incastrata, in qualche modo la porta semplicemente si spalancherà. E si aprirà così una nuova visione sul mondo! Scoprirai che le porte possono anche aprirsi verso l’interno!

    In seguito, quando ti troverai davanti ad una nuova porta, proverai ad aprirla prima in un verso e poi in un altro. E magari un giorno non funzionerà né in un modo né in un altro! E sarai pronto allora a scoprire il magico mondo delle porte scorrevoli

    Scherzi a parte, nel corso della nostra vita creiamo significati per permetterci di muoverci agevolmente nella realtà. Una parte di quei significati, però, non hanno poi un riscontro reale.

    Le aspettative e la gestione del tempo

    Nel post su come imparare a gestire il tempo ho parlato di un colloquio di alcuni anni fa con una persona che, parlando di futilità, non stava affrontando i suoi veri problemi. Quell’episodio non riguarda solo la gestione del tempo ma anche le proprie aspettative. Se ognuno di noi si aspettasse che oggi è per lui l’ultimo giorno di vita vivrebbe diversamente quel poco tempo che gli rimane

    Le aspettative sono convinzioni

    Abbiamo aspettative un po’ su tutto, sui nostri figli, sugli amici, sul lavoro, sulle prossime vacanze, ecc. Quindi cosa sono le aspettative? Sono delle convinzioni. Qualcosa che crediamo sia vero anche se non è ancora accaduto, o che abbiamo appurato ad oggi che siano vere e che lo sarà anche in un futuro prossimo. 

    Ricapitolando, costruiamo le nostre aspettative sulla base di una serie di elementi che percepiamo dal mondo esterno. E nel farlo siamo influenzati già da ciò che riteniamo vero. Proprio come il tacchino di Russel/Popper.

    Nel crearle siamo influenzati dalle nostre emozioni e questo è qualcosa che affronteremo meglio nei prossimi post

    Esercizio pratico per distaccarsi dalle convinzioni

    Per concludere ti propongo un esercizio che appresi tanto tempo fa e ancora adesso pratico a volte. Torna con la tua mente ad una convinzione, come può essere: “mi piace il mare”. E trova almeno tre motivi che “sostengono” quella convinzione, ad esempio:

    Mi piace il mare perché quando mi immergo sento di appartenere al mondo.

    Mi piace il mare perché mi sento rigenerato.

    Mi piace il mare perché mi ricorda l’estate.

    Le aspettative: mi piace il mare
    Le aspettative: mi piace il mare

    Nota che ogni affermazione è a sua volta una convinzione e spesso queste affermazioni rappresentano delle metafore. Bene ora riprendendo le tre affermazioni prova a dimostrare il contrario. Ad esempio:

    Mi piace il mare perché mi sento di appartenere al mondo e non mi piace appartenere al mondo perché mi sento solo.

    Mi piace il mare perché mi sento rigenerato e non mi piace sentirmi rigenerato perché mi sembra di non essere io.

    Mi piace il mare perché mi ricorda l’estate e non mi piace l’estate perché non sopporto il caldo.

    Continuiamo con l’opposto dell’opposto

    Bene ora nel prossimo step creiamo nuovamente l’opposto di quello che è scaturito nell’ultima frase:

    Mi piace il mare perché mi sento di appartenere al mondo e non mi piace appartenere al mondo perché mi sento solo e mi piace sentimi solo perché mi sento bene con me stesso.

    Mi piace il mare perché mi sento rigenerato e non mi piace sentirmi rigenerato perché mi sembra di non essere io e mi piace non essere io perché scopro altre cose di me.

    Mi piace il mare perché mi ricorda l’estate e non mi piace l’estate perché non sopporto il caldo e mi piace il caldo perché mi rilasso.

    Creiamo una sequenza di immagini

    Bada bene, non mi interessa che tu sia convinto di quello che scriverai, voglio che ci sia una sequenza fra ciò che scrivi nella prima frase e il modo in cui la continui e che poi, mentre la elabori e la rileggi tu possa, in qualche modo, crederci anche solo un po’. Ora continua con un nuovo opposto:

    Continuiamo con un nuovo opposto

    Mi piace il mare perché mi sento di appartenere al mondo e non mi piace appartenere al mondo perché mi sento solo e mi piace sentimi solo perché mi sento bene con me stesso e non mi piace sentirmi bene con me stesso perché mi annoio.

    Mi piace il mare perché mi sento rigenerato e non mi piace sentirmi rigenerato perché mi sembra di non essere io e mi piace non essere io perché scopro altre cose di me e non mi piace scoprire nuove cose di me perché ho paura di cosa troverei.

    Mi piace il mare perché mi ricorda l’estate e non mi piace l’estate perché non sopporto il caldo e mi piace il caldo perché mi rilasso e non mi piace rilassarmi perché ho l’impressione di perdermi qualcosa.

    E ancora il contrario:

    Mi piace il mare perché mi sento di appartenere al mondo e non mi piace appartenere al mondo perché mi sento solo e mi piace sentimi solo perché mi sento bene con me stesso e non mi piace sentirmi bene con me stesso perché mi annoio e mi piace annoiarmi perché incomincio a fantasticare.

    Mi piace il mare perché mi sento rigenerato e non mi piace sentirmi rigenerato perché mi sembra di non essere io e mi piace non essere io perché scopro altre cose di me e non mi piace scoprire nuove cose di me perché ho paura di cosa troverei e mi piace aver sentire quella paura perché è una sfida per me.

    Mi piace il mare perché mi ricorda l’estate e non mi piace l’estate perché non sopporto il caldo e mi piace il caldo perché mi rilasso e non mi piace rilassarmi perché ho l’impressione di perdermi qualcosa e mi piace perdermi qualcosa perché sono convinto che lascio andare ciò che non mi appartiene.

    Lo scopo dell’esercizio e conclusioni

    Chiaro l’esercizio? Lo scopo è quello di abituarti a convincerti di cose apparentemente opposte o molto diverse fra di loro. Significa, ad un livello più profondo, accettare che le aspettative, non sono “vere”. Sono solo il frutto delle nostre congetture, e significa anche un po’ “distaccarsi” da loro.

    Come affermava il maestro zen Dogen: se su una barca osserviamo la riva, possiamo credere che sia la riva a spostarsi, ma, se ci troviamo sulla riva, penseremo che sia la barca a muoversi.

    Il senso di questo esercizio, o gioco è proprio quello di alternare le tue “posizioni”, quindi saperti trovare sulla barca e sulla riva.

    Concludo il post sempre con una frase del maestro Dogen: non considerate mai definitivo il vostro punto di vista; per sviluppare una comprensione unificata occorre investigare interpretazioni alternative.

    Le aspettative: mi piace il mare
    Le aspettative: mi piace il mare

    Se in quello che hai letto ritrovi un tuo problema, se ti risuona familiare la situazione descritta, o se avverti che in qualche modo l’argomento trattato ti riguardi, puoi contattarmi chiamandomi al numero 366-3672758 , oppure puoi inviarmi una e-mail a francesco.panareo@gmail.com. Molti clienti prima di te hanno fatto lo stesso, valuta tu quella che è la scelta migliore per te.

    Decidere di risolvere i problemi di relazione interpersonale e di coppia e vivere una maggiore condizione di serenità, credo che sia importante per ognuno di noi. Non posso sapere se decidi di contattarmi, ma posso augurarmi che tu faccia del tuo meglio per realizzare la vita che desideri.

    Se desideri poi approfondire questo argomento, o altri, puoi ugualmente contattarmi, il tuo feedback è importante per me, e mi permette di scrivere degli articoli maggiormente orientati ai tuoi interessi.

    Le decisioni di coppia

    Individuare e far conciliare due diverse modalità di scelta

    Quante volte ti è capitato di scambiare con il tuo partner un “botta e risposta” su decisioni di coppia piccole o grandi nelle quale sembrava proprio che stavate parlando due linguaggi diversi? Ti è mai accaduto di chiederti se per caso il tuo partner stesse dando quel tipo di risposta di proposito per farti arrabbiare?

    Beh, prima di tutto ti ricordo che una relazione vive di emozioni e che le tue emozioni dipendono da te. Non dico che, qualunque cosa ti accada, tu possa apprendere facilmente come rimanere calmo, tutti noi ci arrabbiamo, ci sentiamo tristi, distaccati, rilassati allegri. Parti dal presupposto che, sei tu che decidi di vivere una certa emozione in relazione al comportamento altrui, è normale arrabbiarsi. Ma ciò che è importante è avere l’abilità di far durare quell’emozione quel tanto che basta!

    Sei tu che generi i tuoi stati d’animo in riposta a quello che ti accade intorno. Quindi questi dipendono da ciò che ti accade intorno… e da te che crei quella risposta

    Ricordatelo sempre, se dai valore a te come persona, dai valore alle tue emozioni.

    Due domande da porsi

    Se il tuo partner ti fa sentire bene, ti fa vivere quella sensazione di benessere, tutto va per il meglio, anche se sai ora che un bel po’ dipende anche da te. Se invece non ti fa sentire bene e crei, ad esempio, l’emozione della rabbia in risposta ad un suo comportamento, fermati un momento mentre provi quella rabbia, fai un bel respiro profondo, poi un altro e poi un altro ancora, chiudi gli occhi e chiediti: quanto è utile per me quell’emozione? E poi, per quanto tempo ancora desidero viverla?

    Approfondiremo queste due domande in altri post e ricorda, in una comunicazione la prima cosa da saper gestire è il tuo stato emotivo. Diceva il filosofo Seneca: è l’animo che devi cambiare, non il cielo sotto cui vivi.

    Esempi di decisioni di coppia

    A questo punto torniamo a noi e al linguaggio, apparentemente incomprensibile. Per incominciare ti rappresento due esempi di scambi di domande e risposte in una coppia che potenzialmente possono diventare esplosivi.

    Prima di incominciare ti farò una premessa:
    Lavorando a questo post ho notato che scrivere di questo argomento in particolare, mi ha creato delle vere e proprie finestre di opportunità su tanti altri argomenti che approfondirò successivamente.

    Due scene

    Entriamo nel vivo del post, la prima scena riguarda l’acquisto di alcune t-shirt da parte di lei. Il modo in cui decidono di acquistare un capo di abbigliamento è diverso per entrambi.

    Lei chiede al suo partner l’opinione, poiché prima di acquistare un abito vuole avere un opinione di qualcun altro, in questo caso è con lui, e desidera, ovviamente, la sua opinione.
    Lui quando acquista un abito decide senza ascoltare l’opinione di altri, per questo motivo non trova comprensibile il doverla accompagnare ogni volta. 

    La seconda scena invece riguarda un esempio un po’ estremo, mi auguro! 

    A prescindere dagli esempi, l’importante è che, alla fine del post tu saprai riconoscere la tua modalità di scelta e quella del tuo partner.

    Esempio di decisioni di coppia 1: Acquisti in un negozio di abbigliamento

    Lui e lei entrano in un negozio di abbigliamento, lei appena entra va verso una commessa dicendo che vorrebbe comprare delle t-shirt per la primavera. La commessa chiede che stile vorrebbe e nel frattempo osserva la taglia di lei e il tipo di abbigliamento che indossa per capire i suoi gusti. Lei descrive la t-shirt che vorrebbe e intanto la commessa incomincia a sceglierne alcune, con un rapido scambio di battute lei sceglie alcune delle t-shirt che ha trovato la commessa. Per ogni t-shirt lei incrocia lo sguardo di lui per avere la sua approvazione. Si avvia verso il camerino per provare le t-shirt che ha valutato più interessanti e che hanno l’ok di lui.

    Le decisioni di coppia: acquisti di abbigliamento
    Le decisioni di coppia: acquisti di abbigliamento

    Lei incomincia provando una t-shirt con un motivo a cuori bianco e volge lo sguardo verso di lui per chiedere la sua opinione, lo sguardo di lui le fa pensare che non gli piaccia, senza attendere la risposta gli dice che ne prova un altra, simile, cambia il colore, da bianco a color panna.

    Il dialogo:

    Lei: amore preferisci in bianco o color panna?

    Lui: panna.

    Lei: Ah ok, e c’è anche in grigio come lo vedi?

    Lui: panna [laconico]

    Lei: ah, ok, e questo verde pastello? [nel frattempo ha un preso una t-shirt di un modello diverso]

    Lui: Beh, meglio

    Lei: ah, allora il panna no?

    Lui pensa: perché ha bisogno di qualcuno per acquistare un abito? Io non lo faccio mai, e se ci tiene tanto alla mia opinione perché non prende quello color panna, e poi, quando mi ha fatto vedere quello in bianco ero sovrappensiero, ma andava bene ugualmente e non mi ha neanche chiesto l’opinione!

    Lui incomincia chiedersi chi glielo ha fatto fare ad accompagnarla inutilmente per l’ennesima volta!

    Poniamo che quello sia un pomeriggio dedicato allo shopping, se questo era il primo negozio incomincia a diventare probabile che la discussione nell’ultimo negozio si tramuti in una guerra di nervi!

    Ok, ora vediamo una  scena “a parti invertite” 

    Esempio di decisioni di coppia 2: Acquisti in una parafarmacia

    Lei farà tardi al lavoro invece lui termina un po’ prima, lei sarebbe dovuta andare a fare la spesa prima di tornare a casa. Ci son due o tre cosette da prendere, soprattutto il bimbo ha il culetto ancora un po’ arrossato. Il pediatra le ha consigliato delle salviette alla camomilla di un tipo specifico e lei è convinta che nella parafarmacia del supermercato ci sono. Manda un messaggio a lui chiedendo se può andare a comprare quelle due, tre cosette, e soprattutto le salviette. Lui la tranquillizza rispondendo che ci andrà certamente. Tornata a casa, lei apre la porta, saluta e incomincia la scena

    Il dialogo:

    Lei: caro hai fatto la spesa?

    Lui: si.

    Lei: hai preso le salviette alla camomilla per il bimbo?

    Lui: no. Non c’erano.

    Lei: ma c’erano altre salviette alla camomilla? Potevi chiedere alla commessa o chiamare il pediatra o mandarmi un messaggio o telefonarmi?

    Lui: si, beh credo che quelle siano le migliori è ho valutato di ritornare domani.

    Lei: ok, e ora?

    Lui: ma stai pure tranquilla, sono convinto che posso tornarne domani e valuterò, se non ci sono neanche domani, cosa prendere.

    Lei: perché non mi hai chiamato?

    Lui: tanto non c’erano, deciderò domani.

    Analizziamo i diversi comportamenti nelle decisioni di coppia

    Se pensi che dopo questa scenetta ci si debba sedere a tavola per cenare e magari ad un certo punto il pargolo incominci a piangere per l’arrossamento puoi immaginare come andrà la serata! Poiché si tratta di una coppia, quel comportamento reciproco è ripetuto, il che rende tutto più snervante perché significa che si ripete da anni. Come fare per evitare di arrabbiarsi in una situazione del genere?

    Le decisioni di coppia: portano a dei litigi
    Le decisioni di coppia: portano a dei litigi

    Partiamo dal “perché accade ” per arrivare al “come riconoscere” quella modalità di scelta e poi arrivare a “cosa fare”. 

    Considerazioni necessarie per le decisioni di coppia

    Partiamo da alcune considerazioni:

    1. In questo post stiamo analizzando un singolo elemento del nostro processo decisionale, i più significativi sono circa una mezza dozzina, ne abbiano visti altri in altri post.
    1. Il modo in cui prendiamo le nostre decisioni è in buona parte inconscio. Per quanto tu possa credere che sia un processo razionale, sappi che non è così
    Spiegazione del punto 2

    Ognuno di noi prende le proprie decisioni in base a delle strategie mentali. Non possiamo essere consapevoli di tutta la strategia, ma di alcune parti si. Nel primo esempio, lei sa che vuole un consiglio da qualcuno per acquistare dell’abbigliamento. Lui sa che non vuole consigli per acquistare dell’abbigliamento.

    Continuiamo ad analizzare i punti 
    1. Il punto precedente ti permette di comprendere che nella prima scena per lei è del tutto naturale chiedere consiglio, e nella seconda scena per lui è del tutto naturale non chiedere consiglio. Questo significa che per ognuno di noi è fastidioso essere coinvolti in una modalità di scelta diversa da quella che riteniamo naturale per noi.
    1. Il modo in cui lei decide di acquistare una t-shirt o lui sceglie di prendere o meno le salviettine potrebbe essere diverso dal modo in cui lei decide di acquistare un auto, o lui decide di cambiare lavoro. Quindi Il modo in cui prendiamo le nostre decisioni dipende sempre dal contesto a cui facciamo riferimento
    1. Non c’è un modo migliore di un altro per decidere, semplicemente la parola magica è flessibilità. Se sai qual è il tuo stile e non puoi applicarlo come vorresti, perché non hai qualcuno con cui confrontarti e vorresti farlo o sei obbligato a dover dar conto a qualcuno, per le decisioni che desideri prendere autonomamente, adattati. Sarà stressante cambiare il tuo modo di decidere? Si e in alcune circostanze è preferibile, vedremo come incoraggiarlo.
    1. Chi è motivato nelle decisioni dall’opinione di altre persone semplicemente è più attento all’opinione altrui. Chi invece è motivato dalla sua di opinione semplicemente dà meno valore a quella degli altri. Questo non ha nulla a che vedere con i concetti di autostima, responsabilità, sicurezza di se, rispetto del prossimo, ecc. Questi sono solo dei giudizi. Diceva lo psicologo Carl Rogers: la tendenza a giudicare gli altri è la più grande barriera alla comunicazione e alla comprensione.
    1. Chi adotta uno dei due schemi con una certa prevalenza manterrà quello schema per tutta la vita in quel contesto

    Gli schemi per le decisioni di coppia e le scelte di vita

    Generalmente anche la propensione a scegliere un certo lavoro o un percorso di studi è in funzione di questi schemi. A volte, invece, intraprendere una determinata professione o creare determinate relazioni modificano in qualche misura quella propensione

    Il punto è che il modo in cui decidiamo una volta definito, in un certo contesto, non cambia sostanzialmente nel corso della nostra vita è non ci sono strategie per modificarlo.

    Estrapoliamo dettagli dai dialoghi

    In realtà, nelle poche righe di dialogo delle due scene si possono estrapolare molti altri dettagli. Ad esempio, come presupporre cosa pensino gli altri, generalmente, sia causa di fraintendimenti (… e poi quando mi ha fatto vedere la t-shirt in bianco ero sovrappensiero), o la scelta, o meno, di più opzioni (Lei: … Ah ok, e c’è anche in grigio come lo vedi? Lui: si, beh le salviettine c’erano ma non c’erano quelle, e ho lasciato perdere). Come ti ho detto, gli elementi che determinano una scelta sono molteplici e in questo post ne vedremo solo uno per maggiore chiarezza.

    Ok ora torniamo a noi, abbiamo detto che alcune persone nel prendere una decisione, in un determinato contesto, preferiscono ascoltare gli altri mentre altre persone decidono ascoltare prevalentemente se stessi.

    Una interessante domanda da porsi

    Immagina questo schema come una linea con due poli opposti.
    Potresti chiederti: e io da che parte mi trovo?

    foto della linea con dei punti in mezzo

    Ti premetto che generalmente ognuno di noi propende maggiormente per una parte o per l’altra, e più raramente si trova proprio ad uno dei due estremi. Questo significa che la maggior parte di noi ha una propensione ad ascoltare gli altri per decidere o una propensione a scegliere sulla base delle proprie opinioni. Pochi si basano, in un determinato contesto, esclusivamente, del proprio giudizio o dell’opinione altrui.

    Inoltre, fra coloro che hanno la propensione a crearsi le proprie opinioni in modo autonomo, alcuni si formano, sì, un proprio giudizio autonomamente, ma cercano la conferma da input esterni. Se non la ricevono, possono anche cambiare opinione.

    Infine, fra coloro che si creano un giudizio ricevendo informazioni dall’esterno, alcuni si convincono sulla base di input esterni. E anche se richiedono una verifica interna, sarà meno importante di quella esterna.

    Il filtro di referenza

    La propensione a scegliere sulla base di proprie opinioni o su influenze esterne si chiama “filtro di referenza

    La domanda magica e le modalità linguistiche

    Riusciamo a riconoscere, nello specifico, la modalità di scelta propria di una persona ponendo una domandamagica”. Per comprendere se il tuo partner, o tu hai una referenza prevalentemente esterna o interna nel prendere delle decisioni la domanda è: come fai a sapere che?…

    Le decisioni di coppia: schema linea con opposti

    Le modalità linguistiche nei due esempi

    La risposta e la modalità linguistica per l’esempio 1

    Nella scena 1: come fai a sapere che quella t-shirt ti sta bene? La risposta sarà qualcosa del tipo: beh la commessa mi ha detto che in questa stagione si usano molto quei colori e poi mi ha detto che scende bene. Poi ti piace, vero?

    Più in generale nel linguaggio verbale la persona ti risponderà con frasi come: la tal persona ha detto che … ,  nel tal contesto ha funzionato bene… tutti dicono che è il migliore… puoi chiedere a chiunque che … , gli altri pensano che sia meglio così, lo fanno tutti, ecc. Quindi citano spesso le opinioni altrui e nel linguaggio non verbale hanno spesso una gestualità centrifuga.

    La risposta e la modalità linguistica per l’esempio 2

    Nella scena 2: come fai a sapere che sia stata la scelta giusta (non chiedere consiglio)? La risposta sarà qualcosa come: sentivo che sarebbe andata ugualmente bene oppure non ho visto quelle è ho pensato che sarei tornato domani (non valutando di chiedere un consiglio al parafarmacista).

    Più in generale nel linguaggio verbale la persona ti risponderà con frasi come: io so quello che è meglio… sento di sapere… lo so io… me ne rendo conto… sono soddisfatto… conosco già quello che è più opportuno… ecc. Citano spesso se stesse, nel linguaggio para verbale fanno spesso delle lunghe pause, e nel linguaggio non verbale spesso adottano una postura eretta.

    Possibilità di adattare le modalità linguistiche per una maggiore comprensione

    Nelle sessioni di counseling o più in generale quando mi occupo di ascolto attivo spesso utilizzo entrambe le modalità linguistiche quando comunico, proprio perché questo permette di essere maggiormente comprensibile da parte di chi mi ascolta.

    Una frase come: questo comportamento è approvato da tutti e tu sai quello che è meglio per te, ad esempio significa coniugare in una frase entrambi gli schemi, oppure: puoi vedere e ascoltare le opinioni degli altri mentre prendi tu la decisione giusta per te è un modo per far si che il cliente, basandosi sulle sue risorse sappia prendere le decisioni migliori per lui. Per certi versi queste frasi, adeguatamente inserite in un contesto opportuno, permettono di comprendere l’essenza del counseling: fare in modo che sia il cliente ad individuare le sue risorse per creare le scelte opportune.

    L’incontro di modalità di scelta diverse nelle decisioni di coppia

    Ritorniamo a noi. Cosa accade quando un lui o una lei che decide sulla base del proprio punto di vista viene coinvolto nel processo decisionale di qualcuno che invece chiede la sua opinione per decidersi? Potrebbe pensare che quella persona sia insicura. Cosa penserà invece una persona, che decide confrontandosi con altri, di chi invece decide da sé? Magari che sia testardo o non ascolti gli altri o che sia egoista.

    Ora tieni sempre a mente un concetto: abbiamo premesso che decidere è un processo che coinvolge più fattori, è una strategia mentale che non ha nulla a che vedere con insicurezza, autostima, testardaggine, egoismo, ecc. 

    Il pericolo delle convinzioni limitanti

    Affermare che una persona “è X”. quindi attribuire un giudizio di valore usando il verbo essere crea nella nostra mente un convinzione limitante! Nessun essere umano “è solo X”! Ognuno di noi è insicuro, attento, curioso, allegro, oppure triste, distaccato, tranquillo, rilassato, nel corso della vita. Anche questo argomento sarà oggetto di un post specifico. Catalogare gli individui con delle affermazioni come “lui è X” è il miglior modo per non comprendere una persona.

    Ritornando al modo in cui le persone decidono, il particolare curioso è che chi tende ad ascoltare il giudizio degli altri nelle proprie scelte quando viene attaccato, ad esempio, proprio per il proprio modo di decidere si pone nella condizione opposta e non da valore a chi lo critica! Sembra un paradosso ma funziona così proprio perche ascoltare gli altri nelle proprie scelte non ha nulla a che fare con l’autostima.

    Chi invece decide da , se si confronta con chi per decidere chiede ad altri rafforza il suo decidere a se chiudendosi e provocando nuovamente la stessa chiusura nell’altro.

    Nota bene abbiamo iniziato a parlare di relazioni di coppia, ma ovviamente questa dinamica si crea in qualunque tipo di relazione personale o professionale.

    Cosa fare nelle decisioni di coppia? La consapevolezza

    Abbiamo analizzato il perché esistono le due diverse modalità di scelta e come riconoscerle. Ora vediamo che cosa fare. La parola magica qui è consapevolezza.

    Esempio 2: come fare?

    Torniamo al secondo dei due esempi. Quello della scelta dell’acquisto in parafarmacia delle salviette per il bimbo.
    Se il bimbo sta piangendo primo di tutto si pensa al bimbo, è ovvio che se lui avesse preso le salviettine, molto probabilmente, il bimbo non starebbe piangendo. Quindi è facile per lei arrabbiarsi. Se ti trovi in questa condizione, come ti ho detto, attendi, respira, e chiediti, cosa mi da di utile questa rabbia? Se non trovi una risposta immediatamente, ovviamente, ritorna a pensare a come alleviare il dolore del bimbo, evita di commentare quello che ti potrà dire lui, se lo ritieni inopportuno. Si presume che lui abbia afferrato la situazione e cercherà di rimediare, probabilmente inutilmente, se le salviettine non ci sono. Ha senso trovare in casa della crema o altre soluzioni per il bimbo, e non rispondere a lui.

    Una tecnica utile: Riportare alla mente un precedente episodio

    Successivamente, quando il bimbo starà meglio e quindi il tuo stato d’animo sarà cambiato, e se noti che anche il suo stato d’animo è cambiato, puoi chiedergli: so che preferisci decidere ascoltando te stesso, in alcune circostanze sai che è utile chiedere consiglio? In quale circostanza ti è stato d’aiuto chiedere un consiglio? Questa frase accetta il suo modo di decidere, presuppone che lui sappia che in alcuni casi è importante chiedere consiglio e permette a chi l’ascolta di trovare nella sua mente un contesto in cui questo è accaduto.

    Evitare le avversative

    Evita le parole ma, però, non. Sono delle congiunzioni avversative che creano delle “barriere linguistiche”. Ho affrontato questo argomento in un precedente post in cui ho indicato il modo opportuno per utilizzarle.

    Le decisioni di coppia: i termini da utilizzare con cautela
    Le decisioni di coppia: i termini da utilizzare con cautela
    La tecnica e la spiegazione della sua utilità

    L’obiettivo è farlo tornare con la mente ad una esperienza in cui consigliandosi con qualcuno ha preso un buona scelta. Come ti ho detto prima, il fatto che non abbia chiesto al farmacista delle altre salviettine non significa che non chieda consiglio, ad esempio al commercialista per una consulenza fiscale o ad un idraulico per riparare il lavandino. Ovviamente quando capirà cosa gli stai proponendo può accadere che ti risponda che “è diverso. Puoi dirgli ad esempio: sì, lo so il farmacista non è l’idraulico e puoi ugualmente chiedergli la sua opinione, anche lui è un professionista nel suo campo. Questo cambio di “livello logico” da idraulico a farmacista, intendendo due attività differenti accumunate però dal fatto che entrambi sono professionisti nel loro lavoro, rende più comprensibile l’esempio, è sarà oggetto di un prossimo post.

    insieme dei professionisti
    insieme dei professionisti

    Ricorda che le domande non devono essere un motivo di sfida. L’obiettivo è che il bimbo stia meglio la prossima volta. Poi è ovvio che rispetto all’episodio che ricorderà in cui ha chiesto consiglio a qualcuno chiaramente ci saranno delle differenze. Il tuo proposito è fargli prendere consapevolezza delle similitudini e ricordargli che in alcuni casi le sue decisioni dipendono anche da fattori esterni.

    Qualcosa che vale per tutti: i tre discorsi

    Se non riuscirai immediatamente ad applicare questi concetti nel comunicare con il tuo partner, va ugualmente bene, purché tu possa iniziare a farlo. Un grande formatore rispetto ai problemi della comunicazione interpersonale Dale Carnagie disse una volta che: esistono sempre tre discorsi dietro ad ognuno dei discorsi che avete fatto: quello in cui vi siete esercitati, quello che avete realmente fatto e quello che avreste voluto fare.

    Esempio 1: come fare?

    Ritorniamo all’esempio 1. Ti confesso che questo esempio è abbastanza autobiografico. L’ultima volta in cui mia moglie voleva che l’accompagnassi a fare shopping, per evitare di uscire con lei, ho creato la condizione perché si facesse accompagnare da un’amica. Non è ovviamente ciò che ti posso consigliare di fare costantemente perché sarebbe poco rispettoso verso il tuo partner. Nello specifico avevo un appuntamento di lavoro e non avrei potuto accompagnarla. 

    Come le decisioni di coppia possono rendere più profondi i legami

    In una circostanza in cui invece tuoi impegni ti permettono di uscire con il tuo partner ti suggerisco di riflettere su di un aspetto: se siete una coppia le esperienze si condividono. Alcune saranno più piacevoli e altre meno e ugualmente si condividono. E’ importante comprendere che una coppia si nutre di tanti momenti e non possono essere positivi tutti allo stesso modo per entrambi, per questo motivo chiediti cosa ti permette di scoprire su di lui o lei, cosa gli o le piace? Cosa apprezza? Ricorda che questo è il modo per rendere quel legame più profondo e piacevole e utile ad esempio per i regali alle ricorrenze.

    Le decisioni di coppia: condividere le esperienze per conoscersi
    Le decisioni di coppia: condividere le esperienze per conoscersi

    Se in quello che hai letto ritrovi un tuo problema, se ti risuona familiare la situazione descritta, o se avverti che in qualche modo l’argomento trattato ti riguardi, puoi contattarmi chiamandomi al numero 366-3672758 , oppure puoi inviarmi una e-mail a francesco.panareo@gmail.com. Molti clienti prima di te hanno fatto lo stesso, valuta tu quella che è la scelta migliore per te.

    Decidere di risolvere i problemi di relazione interpersonale e di coppia e vivere una maggiore condizione di serenità, credo che sia importante per ognuno di noi. Non posso sapere se decidi di contattarmi, ma posso augurarmi che tu faccia del tuo meglio per realizzare la vita che desideri.

    Se desideri poi approfondire questo argomento, o altri, puoi ugualmente contattarmi, il tuo feedback è importante per me, e mi permette di scrivere degli articoli maggiormente orientati ai tuoi interessi.

    Persuadere un bastian contrario in 5 mosse

    Come relazionarsi efficacemente con chi ci dice sempre “no”

    Ti è mai capitato di parlare con qualcuno che diceva di “no” alle tue proposte, senza nessun motivo apparente? O anche ti è accaduto, di conoscere qualcuno che, ad esempio in un gruppo, molto spesso, “smonta” ogni proposta? La classica “voce fuori dal coro”? Il classico “bastian contrario”.

    Il classico bastian contrario

    Ci sono delle persone che tendono, per abitudine, ad essere spesso “oppositivi” a quanto diciamo, se conosci già qualcuno da tempo, certamente, te ne sei reso conto in qualche modo. Intendiamo per “bastian contrario” proprio qualcuno che si oppone alle idee altrui, senza addurre una motivazione specifica.

    Il concetto di polo opposto

    Il “bastian contrario”, ovviamente, non è minimamente consapevole di questo processo mentale! Per lui, questo riguarda, oltre all’uso del “no”, che abbiamo visto nel post precedente, il concetto di “polo opposto”: ogni volta che noi facciamo una proposta, il nostro interlocutore “bastian contrario” dirà che è contrario, anzi che non è favorevole”! Qualunque cosa tu possa fare, lui dirà sempre di non essere d’accordo! E soprattutto non ha una motivazione specifica, lo si riconosce da lì. Può darla una motivazione, ovviamente, ma tende a rispondere immediatamente con un no, ed eventualmente motiva la sua risposta successivamente.

    L’atteggiamento antitetico dei bambini

    Generalmente questo atteggiamento lo troviamo nei bambini o negli adolescenti. Quando diciamo ad un bimbo: non andare lì! Oppure: Non fare quella cosa! Cosa accade? Accade che il bambino fa esattamente quella cosa o va in quel luogo! Questo in parte accade per quanto abbiamo detto nel post precedente, in parte perché in quella fase della crescita i bambini tendono ad un atteggiamento polare, cioè a fare l’opposto di quanto gli viene detto.

    Il bastian contrario: l'atteggiamento del bambino
    Il bastian contrario: l’atteggiamento del bambino

    Vedremo nel corso del post come l’essere bastian contrario è per certi versi un atteggiamento che coinvolge in alcune circostanze tutti noi. Per alcuni, semplicemente, proprio per abitudine, questo comportamento si manifesta più spesso e in modo più eclatante.

    Esempio di dialogo con un bastian contrario

    Facciamo un primo esempio, semplice, di una discussione con una persona che ha generalmente questo comportamento per capire come relazionarsi efficacemente con lui. Poniamo che ti trovi a casa di un tuo amico o amica e tu voglia andare con lui o lei a mangiare fuori:

    A: allora B pensavo di uscire questa sera.

    B: no

    A: perché?

    B: perché no.

    Discussione breve! Escludiamo che ci siano altre motivazioni, affronteremo questo aspetto più avanti, e poniamo che conoscendolo sai che accade spesso che si esprima in questo modo, quindi con un “noimmotivato. In realtà se abbiamo di fronte una persona con un comportamento polare potrebbe voler tranquillamente andare a mangiare fuori, e godersi la serata, ma tende ad opporsi alla proposta che ha ricevuto.

    Una strategia efficace di comunicazione

    La strategia da adottare nel caso di un atteggiamento polare è quella di creare una sorta di “molla mentale”, con la quale “comprimiamo” la sua energia.
    Continuiamo con l’esempio e vediamo cosa fare: 

    A: è veramente un bel posto e ci siamo già stati, ti ricordi?

    B: … no, non voglio.   

    A: … ci siamo trovati bene l’altra volta! 

    B: … no. 

    A: … abbiamo mangiato proprio bene l’altra volta, perché non possiamo andare lì?

    Quel perché potrebbe indurre B a far scaturire la sua motivazione al “no”. Generalmente accade, ma in questo esempio, forzando un po’ la mano ammettiamo che sia ancora più oppositivo e continui a non motivare il suo “no”.

    B: … no, non voglio andare li.

    A: … ma perché?

    B: … no non voglio.

    A: … beh io voglio andare li.

    B: … io no, non voglio.

    A: ne vale la pena è proprio bello.

    B: no, ho detto di no.

    A: ma dimmi perché?

    B: perché no. Ci siamo già stati e non ho voglia di ritornarci [scaturisce una motivazione poco credibile se posta in questo modo]

    Il bastian contrario: no, perché no!
    Il bastian contrario: no, perché no!

    A questo punto abbiamo creato la nostra molla e l’abbiamo compressa, gli animi saranno un po’ più accesi. Quindi la facciamo saltare.

    Come ottenere il risultato voluto

    A: ok, va bene rimaniamo a casa. [con un tono fermo e deciso seguito da un lungo silenzio che interromperà il tuo interlocutore]

    Quello che accade, invariabilmente è che dopo un attimo di esitazione il tuo interlocutore dirà …. Ok andiamo lì.

    Spiegazione della strategia

    Perché accade? Perché l’hai fatto “affezionare” a quella sua posizione, quindi cambiando la tua ora dovrà contraddirla! E poi quando ha detto di “si” tu rimani in silenzio! Lui dovrà rielaborare le informazioni!

    In altri post ti ho dato delle indicazioni per “stemperare” la tensione, in questo ti suggerisco di creare “un picco” di tensione per poi dissolverlo.

    C’è un piccolo momento di smarrimento, e la tensione è piuttosto alta, un momento di silenzio da parte tua permetterà di fargli accettare definitivamente la sua nuova posizione, ovviamente non ha senso contradirlo o discutere ancora la decisione arrivati a questo punto.

    La strategia per convincere un bastian contrario in 5 mosse

    Ricapitoliamo la strategia, aggiungendo alcuni dettagli:

    1. Proponi il tuo proposito.
    2. Il tuo bastian contrario dira di “no” senza motivare il “no”. 
    3. A questo punto ribadisci il tuo punto di vista per una decina di volte. Puoi comprendere che la tensione tenderà ad alzarsi; quindi, sappi che lui tenderà ad alzare tono e il volume, e tu farai lo stesso. Devi esserne consapevole
    4. Quando vedrai che la tensione si è alzata, dopo un attimo di silenzio, puoi “esplodere” con un: ok, va bene! E rimani in silenzio.
    5. A questo punto vedrai che il tuo interlocutore, dopo un primo smarrimento, dirà: no facciamo cosi! Facendo suo il tuo vecchio punto di vista. Mantieni quel momento e di silenzio e a questo punto accetta il suo nuovo punto di vista e poi continua a rimanere in silenzio.

    Potevi immaginare che fosse così semplice? Beh, infatti non è sempre così semplice, ma incominciamo a capire in che modo il nostro amico è stato portato a cambiare idea.

    Esempio di un genitore e un figlio

    Se ci pensi è in parte simile a quello che accade nel caso di un genitore il cui pargolo si pianta, dicendo che non vuol spostarsi da un dato posto. Il genitore allora gli dice: va bene rimani là! E se ne va. In quel contesto relazionale, chiaramente, entrano in gioco altre dinamiche, ma l’adulto non sta contestando la scelta del bimbo, ma la sta riaffermando. Ovviamente in quel caso la principale differenza è nei ruoli.

    Il bastian contrario: genitori e figli
    Il bastian contrario: genitori e figli

    L’ importanza del ruolo nei due esempi

    Quello che hanno in comune i due esempi è che, nel caso dei due amici dopo aver difeso con forza la tua posizione prendi improvvisamente la sua, costringendolo a cambiare per mantenere quel comportamento polare, nel caso del bimbo e del genitore dopo averlo invitato a seguirlo il genitore semplicemente lo lascia lì. Quello che accade è che il bimbo, pur di non rimanere da solo è costretto a seguire il genitore, quindi non ha accettato la posizione del genitore ma fra il rimanere da solo e seguire il genitore, il bimbo sarà costretto a seguire il genitore.

    Prima di approfondire quanto stai apprendendo facciamo una premessa, tutti noi possiamo avere quel comportamento polare rispetto a determinate circostanze.

    La mia esperienza personale come bastian contrario

    Ricordo tempo fa un amico che mi chiese con insistenza di un certo problema che avevo e per il quale stavo cercando lui una soluzione, non richiesta, per me. Mi propose delle soluzioni che trovai semplicemente esilaranti ma evitai di farglielo notare. Gli dissi con garbo che stavo cercando altre soluzioni. Dietro una sua forte insistenza nel volermi offrire le sue risoluzioni risposi che il tono e il modo erano assolutamente inappropriati e gli feci capire quindi che era il caso di smetterla. La cosa che notai però e che, successivamente, mi espose un’altra soluzione, che quanto meno non mi sembrava completamente folle come le precedenti. Ma la conseguenza della sua precedente insistenza fu che risposi nettamente di “no”, di getto, come per le altre. In quella discussione avevo “polarizzato” il mio atteggiamento, probabilmente qualsiasi cosa mi avesse proposto avrei comunque detto di “no”.

    Diventare bastian contrario come reazione a un fastidio

    Ti è mai accaduto? Ricordi un episodio in cui hai ricevuto delle proposte che ritenevi inconsistenti rispetto ad un determinato contesto e per questo motivo hai ritenuto poco utili tutte le proposte che ti sono giunte da quella persona? In sostanza questo significa polarizzare il proprio comportamento e credimi non è utile, perché rischi di perderti delle buone idee

    Ti ho detto che questa strategia non funzionerà sempre. Perché? Il primo aspetto che devi valutare è il tipo di soluzione che stai proponendo. Come avrai potuto leggere in altri miei post, ognuno di noi è orientato nelle sue scelte da vari fattori. Tra gli altri, veniamo influenzati da ciò che per noi è importante: i valori, argomento che abbiamo trattato in diversi articoli. Se quella scelta che tu gli proponi va contro i suoi valori, molto probabilmente rimarrà sulla sua posizione e non cambierà idea. Quando la tua tecnica invece funziona significa che poi in fondo la sua non era una scelta particolarmente significativa e quindi può essere che semplicemente quella persona potrebbe apprezzare, o meno, quella soluzione, ma comunque cambierà idea. Quindi il primo aspetto da considerare è: il suo cambiamento è in linea con i suoi bisogni?

    Bandler e la tecnica di polarizzazione delle scelte

    Per spiegarti meglio questo concetto ti racconto una storia:
    Ricordo una volta che lessi di un caso in cui il dott. Richard Bandler si stava confrontando durante un corso con una persona che aveva difficoltà a dire di “no” al prossimo. E questo, gli diceva questa persona, influiva sulla sua autostima.

    Quindi, Bandler, per insegnargli a dire di “no”, gli chiese in modo imperioso di dire di “no” a lui. Quella persona disse che non ne era capace, allora lui continuò a insistere dicendo che doveva dirgli di “no”. Quella persona arrivò quasi al punto di scoppiare a piangere mentre continuava a disubbidire al suo ordine di dire di “no”.

    Fino a quando il dott. Bandler cambiando atteggiamento gli fece notare con tono scanzonato che era quasi mezz’ora che stava già dicendo di “no” a lui! A quel punto quella persona trasalì e sorrise. Cambiò radicalmente il suo atteggiamento e incominciò a dire di “no” a tutti coloro che si trovavano nell’aula!

    Era passata dal non saper dire di “no” a nessuno, al prendere consapevolezza che se dici di “no“, anche se inconsciamente a qualcuno, stai comunque dicendo di no. Puoi vedere questo esempio come un caso molto raffinato di applicazione della tecnica di polarizzazione delle scelte.

    Ti invito a riflettere anche come quella persona sia stata comunque sollecitata emotivamente. Si è trovata a dover vivere una situazione di stress, ma si trovava lì a seguire quel corso perché desiderava fortemente risolvere un suo problema.

    Saper calibrare il crescendo del tono 

    Un requisito fondamentale perché la strategia sia efficace è valutarne il contesto. Ha detto George Bernard ShawCol tono giusto si può dire tutto, col tono sbagliato nulla: l’unica difficoltà consiste nel trovare il tono”. Quindi la tecnica funziona se sai calibrare bene il momento e i tempi, il crescendo del tono, e il momento in cui interrompere quel crescendo. Quindi chiediti: a chi stai chiedendo, come lo stai chiedendo e cosa stai chiedendo?

    Individuare un vero bastian contrario

    Vediamo un ultimo aspetto da tenere in considerazione. Cosa accade se al termine del crescendo tu accetti il suo punto di vista e lui non cambia idea? Semplice, non era un bastian contrario, il suo non era un comportamento polare e tu non hai individuato i suoi veri bisogni. Il comportamento polare si ha quando una persona in realtà non ha un buon motivo, dal suo punto di vista, per fare la sua prima scelta.

    Il vero bastian contrario
    Il vero bastian contrario

    Se in quello che hai letto ritrovi un tuo problema, se ti risuona familiare la situazione descritta, o se avverti che in qualche modo l’argomento trattato ti riguardi, puoi contattarmi chiamandomi al numero 366-3672758 , oppure puoi inviarmi una e-mail a francesco.panareo@gmail.com. Molti clienti prima di te hanno fatto lo stesso, valuta tu quella che è la scelta migliore per te.

    Decidere di risolvere i problemi di relazione interpersonale e di coppia e vivere una maggiore condizione di serenità, credo che sia importante per ognuno di noi. Non posso sapere se decidi di contattarmi, ma posso augurarmi che tu faccia del tuo meglio per realizzare la vita che desideri.

    Se desideri poi approfondire questo argomento, o altri, puoi ugualmente contattarmi, il tuo feedback è importante per me, e mi permette di scrivere degli articoli maggiormente orientati ai tuoi interessi.

    Il magico mondo delle avversative

    Quando affermiamo comunicando qualcosa di diverso

    Ci sono state delle volte in cui parlando con qualcuno ti è sembrato che fosse un po’ contraddittorio nelle sue affermazioni? O incongruente fra cosa diceva e come lo diceva? Magari diceva di essere d’accordo con le tue parole affermando di “no”!
    Il “nolinguisticamente è un avverbio di negazione, quindi fa parte delle avversative, ma alcuni di noi spesso usano il “no” come intercalare. Hai presente quei discorsi in cui chiedi: come stai? E l’altro risponde: Beh … no … bene. Certo non ti ha detto che sta male, credo anche che tu possa percepire che abbia avuto momenti migliori se si esprime così! Magari non ne ha la percezione neanche il tuo interlocutore mentre parla che potrebbe esprimersi in modo congruente.

    Le avversative e l’incongruenza nella comunicazione

    Rispondere “si bene” quando ritieni di star male è ovviamente incongruente. Se c’è qualcosa che non va, e credi di essere nel contesto giusto per esprimerlo, sarebbe meglio farlo. Se rispondi “no bene” in un certo senso, stai dando un segnale incongruente alla tua mente, gli stai comunicando che il massimo che puoi pensare è di starenobene”!

    Oggi vedremo come significa e come usare … e non usare, il “no” e altre paroline che ci possono permettere di modificare radicalmente una comunicazione.

    Incomincia a chiederti: quante volte in una discussione incominci a parlare affermando di “no”, anche solo per abitudine? Questo è quanto molti fanno incominciando un discorso o rispondendo al proprio interlocutore.

    Esempio dell’elefante rosa

    Prima di entrare nel vivo di questo post vediamo un aspetto dell’uso delle negazioni nel linguaggio che è anche un po’ una leggenda metropolitana riguardo al “no”. In alcuni corsi di comunicazione si dice che il cervello non riconosce il “no” e si fa, generalmente, sempre lo stesso esempio chiedendo: cosa accade se vi dico di non pensare ad un elefante rosa? (chissà perché poi in tanti colorano in qualche modo un elefante!) E tutti sorridendo sanno di aver pensato all’elefante e di averlo visto rosa. Il concetto successivo sarà: il cervello deve prima immaginare qualcosa, e poi la sua negazione. Di conseguenza se diciamo di non pensare all’elefante stiamo dando l’indicazione di pensarlo.

    Le avversative: non pensare all'elefante rosa
    Le avversative: non pensare all’elefante rosa

    L’utilità della ripetizione in relazione al contesto

    Questo concetto è vero solo in parte. Quando diciamo a qualcuno di non pensare a qualcosa di negativo, (non star male, non soffrire, non pensarci, ecc.) gli stiamo introducendo la presupposizione che potrebbe esserci qualcosa di negativo ma che non debba pensarci. Ed è vero che la prima cosa che farà è pensare a quel qualcosa che abbiamo negato. Ma è anche vero che, se glielo ripetiamo più volte, quella persona, elaborando quel qualcosa di negativo, può anche scartare quell’ipotesi ed effettivamente pensare a qualcosa di positivo.

    Possiamo affermare, quindi, che chiedere a bruciapelo a qualcuno di non pensare ad un dato concetto o parola o cosa lo farà pensare proprio a quella cosa. Se glielo ripetiamo, in relazione al contesto, al tipo di relazione, ecc. a cui potrebbe o meno pensare, potrà valutare effettivamente di scartare quell’opzione di pensiero. 

    Quali parole usare e quali sarebbe meglio evitare

    Frasi come: “non preoccuparti”, “non star male”, “non credo che la situazione peggiorerà”, ecc. sono controproducenti. Ti suggerisco di usare, invece, frasi come: “stai tranquillo”, “spero che tutto vada bene”, “puoi star più sereno” ecc. Soprattutto usa delle frasi congruenti rispetto al contesto, a volte “non ti preoccupare” lo si dice come se fosse una frase fatta, un abbraccio o uno sguardo o un silenzio, potrebbero essere molto più efficaci.

    Ti ho voluto spiegare prima questo concetto in modo tale che tu possa comprendere come i fattori che influiscono in una comunicazione sono sempre molteplici e semplificarli a volte ci può indurre in errore.

    3 presupposti su come lavora la nostra mente

    Prima di farti degli esempi pratici voglio descriverti cosa accade nella mente quando incominciamo con quel “non”, e per farlo dobbiamo considerare alcuni presupposti.

    Primo presupposto

    Secondo lo psicologo Kahneman, premio Nobel per l’economia, quando prendiamo delle decisioni la nostra mente utilizza dei percorsi di cui non siamo consci e che ci permettono di prendere delle decisioni molto velocemente. Diciamo che è un retaggio di quando i nostri antenati dovevano decidere molto rapidamente in una savana se una certa ombra in movimento era solo la fronda di un albero mosso dal vento o un predatore pronto ad attaccarci. Poi li analizziamo successivamente con maggiore attenzione, per fare ciò utilizziamo dei processi mentali diversi. Ma i primi dati, inconsci sono quelli che forniscono le prime impressioni riguardo ad un evento e su quei dati ci formiamo già una certa opinione. Il concetto è che chiunque ti dica che pondera le sue decisioni, o che è molto “logico” quando decide, in realtà pondera ben poco ed è certamente meno logico (qualunque cosa significhi per lui) di quanto lui stesso creda.

    Secondo presupposto

    Il secondo presupposto è che se crediamo in qualcosa tendiamo a “difenderlo”, a meno che qualcuno, ovviamente, non ci convinca del contrario. Ci sono diversi buoni motivi per cui ogni essere umano ragiona in questo modo, uno è che la mente funziona per euristiche. Le “euristiche” sono delle “scorciatoie mentali” per le quali, ad esempio, se qualcosa è andata bene una volta allora andrà bene anche un’altra volta. Anche questo è un retaggio del periodo in cui i nostri antenati vagavano nella savana: se quella famosa ombra era solo la fronda di un albero mossa dal vento, molto probabilmente ogni altra fronda di un albero sarà simile a quell’ombra e questo farà risparmiare tempo nel prendere le decisioni. Chiaramente potrà accadere che almeno una volta quella famosa ombra sia stata un leopardo, ma chi faceva la valutazione non ha poi avuto il tempo di raccontarlo ai suoi amici!

    Terzo presupposto

    Il terzo presupposto, connesso al precedente è che, il nostro cervello è sostanzialmente molto pigro. Di conseguenza, una volta trovata la soluzione ad un dato problema, proverà ad applicare quella soluzione al maggior numero di problemi possibili. Quindi se qualcuno ti dice che fa mille cose, ha cento impegni, fa tanti lavori e risolve infiniti problemi puoi chiederti se ha o meno anche più atteggiamenti diversi per affrontare tutte quelle cose, se le ha apprendi da lui, se non le ha è solo molto stressato, ma questo sarà argomento per un altro post!

    Tornando al nostro problema del “non” cosa accade quando qualcuno ad una nostra affermazione risponde con un “no”, che per l’uomo moderno è l’equivalente dell’essere attaccati? Che percepiamo quindi che sia messo in dubbio il nostro pensiero (primo presupposto), tendiamo a difenderlo (secondo presupposto) allo scopo di svolgere il minor numero di processi mentali (terzo presupposto). Questi tre presupposti sono lo spunto per i prossimi articoli.

    Esempio di risposta che utilizza le avversative

    Facciamo un esempio, ti è accaduto che qualcuno ti abbia chiesto: cosa ne pensi di questa idea? E tu abbia risposto: no … è interessante. Nota che apparentemente è privo di senso. Volevi dire di “si” e hai iniziato la frase con un “no”!

    Una barriera linguistica inconscia

    Incominciare una risposta con un “no” quindi determina una piccola “barriera linguisticainconscia (primo presupposto) verso il nostro interlocutore. Ritornando all’esempio precedente, quando diciamo: cosa ne pensi di questa idea? La risposta no … è interessante non rende quell’idea particolarmente interessante, agli occhi del tuo interlocutore, rispetto ad esempio a rispondere: wow è fantastico! Sei consapevole che l’effetto delle due risposte è diverso? Noti che avverti una sensazione diversa fra le due risposte? Ne hai delle immagini diverse, farai delle considerazioni diverse?

    Le avversative: i termini da utilizzare con cautela
    Le avversative: i termini da utilizzare con cautela

    Il no e le congiunzioni avversative ma e però

    Il “nolinguisticamente è un avverbio di negazione. Una parola che, appunto, nega ciò che seguirà dopo. Vi sono altre parole che, in modo diverso hanno la stessa funzione, le congiunzioni avversative, ad esempio “ma” e “però”. Nota che grammaticalmente le avversative sono molte di più, queste sono quelle che hanno un maggior impatto linguistico nella comunicazione e ogni volta che le usi, stai creando una piccola barriera con il tuo interlocutore. Per questi motivi dovresti cancellare dal tuo vocabolario? No (a proposito di avversative).

    Se il nostro interlocutore ad una nostra affermazione del tipo: credo che questo progetto sia il migliore che possiamo creare in questo momento ci risponde con una frase del tipo: si certo, ma dovremmo ancora rivedere alcuni dettagli, significa che per lui attualmente quel progetto non è il migliore. Oppure ribatte con una frase del tipo: ma credo che ci siano ancora dei dettagli da valutare. Probabilmente per lui quel progetto è ancora ben lontano dall’essere accettato.

    Pertanto, se non sei d’accordo con quello che dice il tuo interlocutore o se non sei interessato ad una certa proposta, o hai dei dubbi, ti verrà spontaneo utilizzare i ma e i però. Ed è corretto, ovviamente. Semplicemente, usa il “nosolo quando credi di dover dire di “no”.

    Le congiunzioni affermative e l’utilizzo del “sì, e”

    Se invece credi che nell’affermazione del tuo interlocutore c’è “qualcosa di buono” ti suggerisco di utilizzare il “si, e”, invece dei vari “ma”, “però” o “no”. Rispetto al “ma” e “però” per rendere una comunicazione il “si eevita che si creino quelle barriere inconsce.

    Esempio di come evitare le barriere linguistiche

    Facciamo un esempio, prendiamo la seguente domanda:
    Sig. Rossi crede che questo sia un buon progetto? 

    Vediamo tre possibili risposte:

    1. Mah … credo di , potremmo comunque provare a fare delle modifiche nella parte finale.
    2. Ma si, però, comunque, potemmo poi fare anche delle modifiche nella parte finale.
    3. Si, e potremmo fare delle modifiche nella parte finale.

    Quale ritieni più efficace? Nota che la più efficace è anche la più breve, non è un caso, credo, che si dica che la sintesi sia un dono, non ho mai sentito dire lo stesso della prolissità.

    Alcune persone usano il “no” come un vero e proprio intercalare. Immagina che un tuo amico o amica parlando con te voglia, ad esempio, elogiare un’idea, affermando: no … mi sembra una buona cosa, non credi? E poi è pensata bene, non la vedo mica male! Non mi dispiace! Pensa che avrebbe potuto dire semplicemente: si mi piace. Oppure: mi piace poco! O: è bellissima! O anche: si va bene! Il “no” come intercalare obbliga la mente a elaborare dei periodi più lunghi e spesso contorti per esprimerne dei concetti. Costringiamo inoltre il nostro interlocutore a sforzarsi di comprendere il nostro punto di vista.

    Se poi dobbiamo parlare davanti ad un pubblico è assolutamente inappropriato. Immagina di far parte di un pubblico che ascolta un relatore che esordisce con: no … eh … ma … volevo dire … Cosa ti arriva? Come percepisci questo inizio di discorso?

    Uso delle avversative in modo motivante

    Ecco perché le avversative vanno usate con cautela e consapevolezza, o rischiamo di essere ritenuti poco credibili in ciò che diciamo. Allora non dobbiamo usarle? Neanche questo è vero. Possiamo anche utilizzare questi termini in modo da rendere una esperienza negativa motivante per il nostro interlocutore.

    Vediamo degli esempi e nota la differenza quando inseriamo il “ma” e il “però” di una frase: 

    La sua condizione di salute è abbastanza compromessa, ma possiamo intraprendere un percorso terapeutico che ha già dato delle risposte positive in molti casi.

    La situazione del mercato al momento è piuttosto difficile, però i nostri nuovi servizi hanno già avuto delle risposte molto positive in altre aree.

    Certamente dalle sue parole possiamo comprendere come siamo ancora abbastanza lontani dal definire un obiettivo soddisfacente, però abbiamo già chiarito diversi aspetti molto importanti. 

    Prova a invertire le due parti delle frasi precedenti, che effetto fa? Molto diverso vero? 

    Nella prima frase stiamo instillando un sentimento di speranza, che se invertissimo con la seconda, cancelleremmo.

    La seconda frase genera ottimismo, invertendole lo spegniamo.

    La terza produce la voglia di andare avanti, posta al contrario determina uno smarrimento.

    Quante volte in ambito medico, aziendale, o personale hai ascoltato quelle frasi?

    Altri esempi di comunicazione efficace motivante con le avversative

    Vediamo degli altri esempi in cui possiamo utilizzare no, “non” e “ma” in termini motivanti:

    1. La situazione è fortemente compromessa e non posso escludere, comunque, che ci possano essere dei miglioramenti.
    2. Siamo partiti proprio male, non credevo che ci potessimo risollevare così.
    3. Tante volte ci siamo trovati in difficoltà, non pensi che questa volta ce la siamo proprio cavata bene?
    4. Andando per questa strada abbiamo rischiato tantissimo, non sarà stata mica una grande intuizione seguire questa strategia?
    5. Nella vostra relazione ci sono certamente molti problemi, non pensate che ci siano anche dei lati positivi?
    6. Credo che stiamo ottenendo degli ottimi risultati. O no?

    Nel caso del “no” poi la doppia negazione afferma, possiamo vedere qualche esempio:

    1. Non è possibile non credere che … = è possibile credere
    2. Non posso credere che non siamo capaci … = credo che siamo capaci

    Cosa comporta, ad esempio, nelle frasi sette e otto abbassare il tono sui “non” e rimarcarlo sulle altre parole? E facendo il contrario cosa provi?

    Stai ponendo attenzione a cosa comporta utilizzate il “no” e il “noninconsapevolmente tutti i giorni?

    Come prendere consapevolezza dei termini che usi

    Il messaggio che ho voluto comunicarti in questo post è: prendi consapevolezza dei termini che usi. Come fare? Semplicemente con l’abitudine. Ricordi il terzo presupposto? Il cervello è pigro, ci metterai un po’, dipende da quanto sei motivato, ma potrai apprenderlo piacevolmente (hai notato nella frase l’uso del “ma”?). Questo ti permetterà di essere più congruente nella tua comunicazione e credimi, in alcuni contesti, di poter creare fiducia e speranza, qualità di cui tutti noi abbiamo bisogno.

    Le avversative: creare fiducia con la comunicazione
    Le avversative: creare fiducia con la comunicazione

    Se in quello che hai letto ritrovi un tuo problema, se ti risuona familiare la situazione descritta, o se avverti che in qualche modo l’argomento trattato ti riguardi, puoi contattarmi chiamandomi al numero 366-3672758 , oppure puoi inviarmi una e-mail a francesco.panareo@gmail.com. Molti clienti prima di te hanno fatto lo stesso, valuta tu quella che è la scelta migliore per te.

    Decidere di risolvere i problemi di relazione interpersonale e di coppia e vivere una maggiore condizione di serenità, credo che sia importante per ognuno di noi. Non posso sapere se decidi di contattarmi, ma posso augurarmi che tu faccia del tuo meglio per realizzare la vita che desideri.

    Se desideri poi approfondire questo argomento, o altri, puoi ugualmente contattarmi, il tuo feedback è importante per me, e mi permette di scrivere degli articoli maggiormente orientati ai tuoi interessi.

    La tecnica dell’ascolto attivo

    Impariamo le modalità di ascolto per essere vicini e di aiuto

    Ciao, in questo post riprenderemo ancora l’argomento dell’apprendimento dell’ascolto attivo, che abbiamo trattato già nei quattro post precedenti. Chiuderemo quest’argomento parlando di come poter, praticamente senza parlare, cambiare lo stato emotivo del nostro interlocutore. Infine, vedremo diverse distinzioni nell’approccio all’ascolto attivo.

    Riepilogo dei post precedenti

    Prima di iniziare a parlare di tecnica dell’ascolto attivo, possiamo fare un ripasso di tutto ciò che hai già appreso:

    • L’ascolto attivo ha una sua struttura specifica.
    • Nell’esercitarlo, il primo presupposto è che possiamo provare delle emozioni simili a qualunque altro essere umano, ma non le stesse, perché i vissuti sono sempre diversi.
    • Il vissuto rappresenta tutto quello che siamo, in cui crediamo, le nostre scelte, le nostre opinioni, giudizi, i nostri valori, ecc.. Siamo naturalmente portati ad esprimere giudizi su ogni cosa, ma nell’ascolto attivo dobbiamo tener fuori i nostri giudizi, convinzioni, scelte, ecc. 
    • Per eliminare quei giudizi durante l’ascolto dobbiamo eliminare il nostro dialogo interno, e ci sono diversi modi per esercitarsi a farlo. Esercitarsi significa, di fatto, implementare una qualità che ognuno di noi possiede già.
    • Per esercitare l’ascolto attivo la prima cosa da fare è calibrare il nostro interlocutore nel suo linguaggio para verbale (gli aspetti che possiamo valutare sono tono, velocità e timbro con le quali parla) e non verbale (postura e respiro). Calibrare la postura è più facile, ma è dalla calibrazione del respiro che si ottengono i risultati migliori.
    • Dopo aver osservato attentamente tutti questi aspetti si rispecchiano, la postura, il respiro e il linguaggio para verbale.
    La tecnica dell'ascolto: Il rispecchiamento
    La tecnica dell’ascolto: Il rispecchiamento

    I 3 presupposti per essere abili nella tecnica dell’ascolto attivo

    Nell’apprendere quest’abilità ci sono tre presupposti da ricordare e senza il quale non è possibile essere veramente abili.
    Il primo presupposto è che i vissuti di ogni essere umano sono diversi.
    Il secondo è che devi avvertire che ci sia una concordanza nelle emozioni di entrambi ed entrare nello stato di empatia.
    Il terzo presupposto è che devi volerlo fare con una intenzione positiva.
    Significa essere congruenti fra ciò che credi e ciò che desideri.

    Per approfondire l’argomento

    Prima di continuare un piccolo appunto, quello che hai letto ha svariati riferimenti di diversi autori. Non ho voluto citarne nessuno perché preferisco dare a questi post un taglio pratico. Se però tu desideri approfondire l’argomento, puoi mandarmi una mail e potrai ricevere tutte le informazioni che desideri.

    La mia esperienza con le relazioni d’aiuto

    Ora vediamo quali qualità devi possedere per poter reggere emotivamente tutto questo. Tempo fa lessi una frase che mi colpì molto: la persona che diventerai dipende dalla quantità di dolore che riuscirai ad abbracciare. Sei disponibile a sostenere emotivamente il tuo amico, parente o conoscente?

    Quando ho incominciato ad approcciarmi alle relazioni d’aiuto quasi quindici anni fa, all’inizio l’ho fatto con una discreta preparazione e relativa incoscienza. Questo non per mancanza di rispetto, ma perché, quando qualcuno, magari dei perfetti sconosciuti incominciano a raccontarti le loro tragedie, non puoi avere idea di che cosa ti diranno. Se invece sono delle persone che conosci non è più facile, ma più difficile. Nessuno vorrebbe che una persona a cui tiene in qualunque modo soffrisse.

    Non interrompere il flusso di emozioni creato

    A volte dare dei consigli credo proprio che non sia semplicemente qualcosa di piuttosto stupido o controproducente, ma sia anche un modo per cercare di interrompere quel flusso di emozioni che ti sta arrivando e al quale vorresti, in questo caso abbastanza inutilmente, porre rimedio, perché fai fatica a sopportarlo.

    L’importanza del silenzio

    Per quanto mi riguarda, quando ascolto le persone a volte per più di mezz’ora, alterno il rimanere in silenzio al fare domande. Sempre senza perdere il contatto visivo. Poi magari incomincio a raccontare delle storie e faccio fare degli esercizi.

    Interrompere gli schemi del dolore

    A volte accade che, quando mi raccontano le loro storie, desiderano ripeterle più e più volte. Dopo un po’ li interrompo io e con delle domande li porto a vedere quel loro vissuto da altri punti di vista. Se ho compreso che vorrebbero ripetere i loro schemi per ricominciare a soffrire, cerco di offrigliene di più interessanti, utili e rispettosi del loro vissuto. Ma prima di tutto ho ascoltato in silenzio le loro storie. E poi mentre li ascolto faccio esattamente quello che ho descritto in questi post

    La tecnica dell'ascolto: l'asoetto della sofferenza
    La tecnica dell’ascolto: l’asoetto della sofferenza

    Certo, coloro con cui parlo mi chiedono delle risposte e sono sempre molto vaghi nella descrizione dei loro problemi. Quindi dovrò porgli moltissime domande, almeno all’inizio. Poi, però, faccio esattamente quello che ho scritto in questi post e poi quello che imparerai entro la fine di questo post.

    La domanda da porsi per essere d’aiuto

    Ma rimane sempre quella domanda che puoi farti con il tuo dialogo interno mentre starai ascoltando: sono disposto a sostenere tutto questo?
    Ti suggerisco di portela quella domanda, anche se ti perderai qualcosa del racconto del tuo interlocutore, perché è importante, e poi decidi. Se senti che per te è difficile, diglielo. Essere congruenti, significa anche questo. Se ti senti in grado allora puoi proseguire. Puoi continuare con il rispecchiamento, fare dei test per capire se il tuo ascoltatore ti sta seguendo. Grazie al rispecchiamento, puoi farlo incominciare ad assumere una postura più rilassata, un respiro che sia sintomo di fiducia e tranquillità o di forza ed energia.

    Diversi approcci per la tecnica dell’ascolto

    Quello su cui ti invito a riflettere è che tutto ciò che hai appreso fino ad ora, e nel quale credo tu abbia già incominciato ad esercitarti, ti permette di aiutare il tuo interlocutore, praticamente senza dire nulla. Ci sono poi diverse modalità di ascolto che riguardano l’ambito professionale. A titolo conoscitivo, te ne elencherò alcune insieme ad una breve descrizione, nel quale il tipo di linguaggio è di primaria importanza.

    La tecnica di riformulazione rogersiana

    L’approccio rogersiano: da Carl Rogers, il padre del counseling. Utilizza ad esempio, fra le tante, la tecnica di riformulazione che consiste nel “rimandare” le parole della persona alla persona stessa. Questo modello non permette di individuare nella relazione i suoi bisogni, ad esempio, almeno non in tempi brevi rispetto ad altre metodologie, ma comunque, poiché rimandare le parole che il nostro interlocutore ci ha detto, fa sì che, in modo letterale, parliamo lo stesso linguaggio. Aumenta la sua sensazione di sentirsi compreso. Ci tengo a specificare che, nell’approccio rogersiano, la tecnica del rimandare è solo una delle tecniche, poi ce ne sono molte altre.

    Un esempio pratico di riformulazione

    Per fare un esempio, se quella persona ti dice che si sente un peso sullo stomaco, allora ripetergli, letteralmente, ad un certo punto, quando vorrà chiederti cosa ne pensi della sua situazione, che, quindi, per lui, quel problema è “un peso sullo stomaco”. Lo aiuterà a farlo sentire compreso. Rispondergli, invece, che il suo problema è “difficile”, “facile da risolvere”, ecc. e quindi emettendo giudizi, non sortisce lo stesso effetto. Rimandare le sue parole non lo aiuterà a uscire da quella sensazione. Anzi, lo rimanderà a pensare a quel problema in quei termini, ma, come ti ho detto prima, lo farà sentire compreso. Per uso degli stessi termini, intendo proprio, letteralmente, le stesse parole.

    L’ascolto interattivo e i modelli di pensiero

    L’ascolto interattivo: nel quale si inseriscono anche le tecniche di riformulazione e diamo poi maggior spazio anche ad altri aspetti. Ad esempio a cosa prova il nostro interlocutore, quali sensazioni, cosa immagina, dandogli l’opportunità di incominciare ad ampliare la sua visione del mondo. Gli si pongono quindi delle domande specifiche. Non entreremo ora nel merito delle innumerevoli domande che possiamo porgli allo scopo di comprendere degli elementi specifici dei suoi modelli di pensiero.

    L’ascolto strutturale e la mappa cognitiva

    L’ascolto strutturale: nel quale individuiamo la mappa cognitiva della persona e la struttura del suo processo di pensiero. Per intenderci, per quanto hai letto nei post relativi alla percezione del tempo, o ai valori, con delle domande specifiche, si può comprendere quale sia la sua modalità di percezione del tempo. Con altre domande specifiche si possono comprendere quali sono i suoi valori e quali sono le sue convinzioni limitanti, le sue risorse, i suoi obiettivi, ecc. Con degli esercizi il tuo interlocutore può inoltre comprendere le sue risorse e prendere consapevolezza di alcuni aspetti della sua vita. infine, con dei compiti assegnati può crearsi delle nuove abitudini e avere una nuova visione di e del mondo.

    la percezione del tempo:
    La tecnica dell’ascolto: la percezione del tempo

    L’ascolto incondizionato

    L’ascolto incondizionato: nel quale, qualunque cosa ci dica l’altra persona, rimaniamo in silenzio. Per quanto possa sembrare apparentemente poco utile, in alcune circostanze, è veramente efficace.

    L’ascolto in doppio silenzio

    L’ascolto in doppio silenzio: lo possiamo intendere come una prosecuzione del precedente. In questo caso quando l’altra persona termina di parlare, continuo a rimanere in silenzio. Questa tecnica permette, generalmente, di creare una sorta di “rottura della diga emotiva” da parte sua che a un certo punto incomincia ad esprimere tutta una serie di elementi relativi alla sua problematica che fino a quel momento aveva trattenuto. Se non sei un professionista, questo metodo permette, a chi stai ascoltando, di prendere consapevolezza di una serie di elementi che non aveva valutato. Se invece lo sei, permette, a te, di acquisire tante informazioni su come far uscire quella persona dalla sua condizione di disagio.

    I valori sono determinanti per l’ascolto attivo

    Prima di terminare, voglio farti notare un aspetto del linguaggio che abbiamo già visto in alcuni post precedenti e che riveste, dal mio punto di vista un’importanza fondamentale. E’ proprio quell’elemento che, a volte, ci può rendere molto facile o un po’ difficile creare quella condizione di ascolto attivo che hai appreso: l’aspetto dei valori.

    Come ti sentiresti a colloquiare con una persona che ritieni spregevole? Con qualcuno che sai aver commesso delle azioni che non condividi? Quel processo di dialogo interno, sarebbe facile o difficile da bloccare? Se sai che colui che hai di fronte è qualcuno con il quale non vuoi averci nulla a che fare, e, in qual caso, è improbabile che decida di confidarsi con te, ovviamente, ti sarà più difficile applicare questa tecnica. Perché i valori toccano un aspetto molto profondo nella nostra identità.

    Quindi in realtà quel processo di ascolto attivo che hai appreso, e che accade già spontaneamente in molte relazioni, si sviluppa su più livelli. Quello che ti ho decritto e hai appreso si basa sulla comunicazione non verbale ed è estremamente potente. Ma esiste anche a livello dei valori e con delle tecniche particolari si può sviluppare partendo da quel livello

    Utilizza la tecnica dell'ascolto attivo per individuare una scala dei valori
    Utilizza la tecnica dell’ascolto attivo per individuare una scala dei valori

    In una coppia, ad esempio, può non esserci sempre, quella modalità di ascolto che hai appreso. Però al contempo, soprattutto nelle coppie consolidate, se ci sono dei valori e dei criteri in comune, quella risonanza si crea comunque abbastanza spesso e rapidamente

    Certo, apprendere il significato di questa modalità di ascolto e dare così a quella coppia altre possibilità per creare quella risonanza e quel rispecchiamento è una delle prime cose che faccio nelle mie sessioni di counseling. Ma se verifico che c’è una buona contiguità nei valori so che siamo sulla buona strada. Quindi, integro con delle modalità specifiche l’ascolto attivo su più livelli.

    La mia esperienza diretta con la tecnica dell’ascolto

    Ti lascio in chiusura di questa serie di post con una considerazione rispetto alle mie esperienze nell’ascolto attivo. Diverse volte mi sono trovato, a parlare con delle persone che mi raccontavano dei loro problemi e mi chiedevano se in qualche modo li capissi, e per alcune vicende molto forti. Gli ho sempre risposto, adeguando,il mio tono di voce al loro, che, no, non potevo capire la loro condizione: perché ho fatto scelte diverse nella vita, perché credo in qualcosa di diverso a cui credono loro, per mille motivi, e in quel momento gli ero ugualmente vicino

    La risposta più corretta ed efficace

    Probabilmente ti è accaduto o potrebbe accaderti che un tuo amico mentre ti racconta una certa esperienza ti chieda se lo capisci e se credi di non essere congruente dandogli una risposta affermativa, non esitare. Non sei lì per comprenderlo, sei lì perché gli sei già vicino.

    Non mi è mai accaduto che ognuna di quelle persone non si sia comunque sentita compresa come essere umano. Credimi che ne ho generato di dialogo interno, prima di dare quella risposta, ne ho avuti di dubbi, ma, in alcune circostanze, mi è scaturita senza pensare. Nel senso che quella risposta è sempre risuonata con l’altra persona e per questo è stata efficace.

    La tecnica dell'ascolto: La vicinanza
    La tecnica dell’ascolto: La vicinanza

    Se in quello che hai letto ritrovi un tuo problema, se ti risuona familiare la situazione descritta, o se avverti che in qualche modo l’argomento trattato ti riguardi, puoi contattarmi chiamandomi al numero 366-3672758 , oppure puoi inviarmi una e-mail a francesco.panareo@gmail.com. Molti clienti prima di te hanno fatto lo stesso, valuta tu quella che è la scelta migliore per te.

    Decidere di risolvere i problemi di relazione interpersonale e di coppia e vivere una maggiore condizione di serenità, credo che sia importante per ognuno di noi. Non posso sapere se decidi di contattarmi, ma posso augurarmi che tu faccia del tuo meglio per realizzare la vita che desideri.

    Se desideri poi approfondire questo argomento, o altri, puoi ugualmente contattarmi, il tuo feedback è importante per me, e mi permette di scrivere degli articoli maggiormente orientati ai tuoi interessi.